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Questo articolo è stato pubblicato il 16 giugno 2013 alle ore 08:25.

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ROMA
«Adesso il primo obiettivo è tenere la guardia altissima per evitare ritorsioni da parte degli Stati Uniti che penalizzino settori industriali strategici». Sull'accordo di libero scambio tra Usa ed Europa Carlo Calenda, viceministro allo Sviluppo economico con delega agli affari internazionali, ha sostenuto fino all'ultimo la linea di perseguire l'esclusione per l'audiovisivo ma lasciando comunque il tema all'interno del mandato, pur con limiti rigidi al negoziatore. La minaccia di veto della Francia però alla fine è stata determinante per una scelta più radicale.
Quale rischio si configura in vista del mandato degli Usa?
Gli Stati Uniti ci hanno già preannunciato l'intenzione di escludere dal loro mandato alcuni settori chiave. Per l'Italia, in particolare, temiamo possibili ripercussioni sulle indicazioni geografiche, che per noi rappresentano un argomento strategico.
Che effetti potrà avere per l'Italia un accordo di libero scambio ad ampio raggio?
Saremmo il primo Paese beneficiario. Ne deriverebbe una grande spinta per settori come tessile, oreficeria, pelletteria, macchinari che oggi sono molto colpiti dalle barriere tariffarie e ancora di più da quelle non tariffarie.
Oltre all'accordo con gli Usa, sta emergendo il bisogno di scelte chiare nei confronti della Cina. Qual è la posizione dell'Italia?
Ieri al Consiglio europeo ho chiesto che ci sia un confronto tra tutti i Paesi su come affrontare le relazioni con la Cina. Non possiamo andare ognuno per conto proprio. La vicenda delle misure antidumping sui pannelli fotovoltaici prima richieste dalle aziende tedesche e poi sconfessate dalla Germania in occasione della visita del premier cinese la dice lunga sulla capacità dell'Europa di confrontarsi in maniera coesa con la Cina. In un quadro del genere il nostro obiettivo è la crescita del commercio italiano in un regime di fermezza sulle regole e reciprocità anche con i Paesi emergenti. Ho votato a favore dei dazi temporanei sul fotovoltaico cinese per questo motivo.
Veniamo alle strategie italiane per l'internazionalizzazione. Il piano dell'Agenzia Ice prevede il superamento di 600 miliardi di euro di export nel 2015: lo ritiene un obiettivo raggiungibile?
Solo se vi sarà uno sforzo collettivo. Oggi in Italia ci sono 70mila aziende che esportano saltuariamente, che sono piccole e medie e hanno necessità di un supporto all'export iniziale. Ed a questo proposito è molto importante la disponibilità manifestata dal presidente Letta e dal ministro Bonino di riprendere l'attività delle Missioni di sistema, che ripartiranno in autunno con gli Emirati Arabi. Stiamo poi programmando un "roadshow" in Italia, per l'autunno, in cui incontreremo migliaia di aziende per spingerle ad esportare, spiegando loro cosa possiamo fare – tutti assieme gli attori pubblici – per accompagnarle.
La governance per le politiche di promozione potrà essere migliorata?
Deve esserlo. In questo mese abbiamo deciso di concentrare la gestione dei fondi, anche quelli per il made in Italy prima a disposizione del ministero, sull'Ice. Stiamo rivedendo le convenzioni con gli istituti finanziari di sostegno all'export con l'obiettivo di renderle più efficienti per le aziende. Abbiamo impostato con il ministero degli Esteri l'agenda della prossima cabina di regia che dovrà definire le priorità dopo averle discusse con gli attori pubblici e privati. Ho chiesto infine a Ice e ai tecnici del ministero di definire e varare il piano promozionale per il 2014 entro dicembre, mentre c'era la pessima abitudine di trascinare questo processo fino alla metà dell'anno di pertinenza del piano.
Nel decreto del fare sembra essere saltato in extremis il rifinanziamento dell'Ice. Verrà recuperato con la legge di stabilità?
L'impegno del Governo c'è ed è confermato, vedremo qual è il provvedimento più corretto per recepirlo. Si deve tener presente che nonostante la nostra economia dipenda in maniera determinante dalla salute del nostro export, spendiamo molto meno degli altri Paesi a noi comparabili per supportare le aziende fuori dai confini. La Francia spende il 40% più di noi, il Regno Unito quasi l'80 per cento. Aumentare di 25 milioni – una cifra bassissima rispetto ai ritorni – le risorse per la promozione è un investimento per tutti. Certo, però, quando in un momento così difficile si chiedono più soldi bisogna poi dimostrare di saperli utilizzare al meglio. E su questo l'Ice ha ancora progressi da fare: ho chiesto all'Agenzia di produrre un nuovo piano industriale con obiettivi di efficienza ed efficacia misurabili.
@CFotina
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