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Questo articolo è stato pubblicato il 17 giugno 2013 alle ore 13:10.

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Il primo ministro turco, Tayyip Erdogan (Afp)Il primo ministro turco, Tayyip Erdogan (Afp)

Gli sviluppi delle manifestazioni di piazza Taksim, comunque andranno gli eventi, hanno fatto imboccare alla Turchia un vortice di instabilità che ricorda i turbolenti anni '70 che qui furono sanguinosi almeno quanto i nostri. Ma se proprio c'è una cosa che la Turchia di oggi non vuole è tornare al clima di paura e ai metodi del passato: allora furono i generali con la repressione e i colpi di stato a tenere l'ordine con il pugno di ferro, adesso ci prova il primo ministro Erdogan ma in un quadro interno e internazionale assai cambiato: rischia di pagare caro il suo autoritarismo e con lui tutto il Paese, con conseguenze rilevanti per l'economia - lo abbiamo già visto sui mercati con l'abbassamento del rating - e in settori economici sensibili.

Il suo discorso di domenica a Istanbul, dove oggi la piazza si sta riempiendo di nuovo di manifestanti e lavoratori in sciopero, lascia stupefatti. Ha invocato e sta applicando metodi draconiani, la polizia è scatenata, sono stati arrestati medici, giornalisti, avvocati. Ma il primo ministro ha attaccato duramente persino la famiglia Koç, come dire gli Agnelli della Turchia, soci storici della Fiat, perché hanno aperto il loro albergo Divan in piazza Taksim per dare aiuto ai manifestanti feriti e colpiti dai lacrimogeni.

Erdogan sta spingendo i militanti del suo partito Akp verso posizioni sempre più radicali, accettando l'appoggio dei Lupi Grigi dell'ultradestra sempre pronti a mestare nei torbidi di questo Paese. Non solo. Persino alcuni religiosi lo hanno smentito quando ha accusato i manifestanti di avere bevuto alcool in moschea e di avere bruciato il Corano, un'accusa che nel mondo musulmano come abbiamo visto in passato può aprire pagine sanguinose e incontrollabili di cronaca. Fuat Yildrim, muezzin della moschea di Dolmabahce, vicino all'ufficio di Istanbul del capo del governo, ha negato le affermazioni del premier ma è stato messo in vacanza forzate dal Diyanet, il ministero degli Affari religiosi, perché ha prestato soccorso ai feriti.

C'è solo da sperare che i due fronti dopo venti giorni di battaglie siano sopraffatti dallo sfinimento e prevalga la razionalità, soprattutto da parte del Governo. Di questa situazione ne risente anche il turismo, un settore dove la Turchia nel 2012 ha attirato più di 37,7 milioni di visitatori nel 2012 ed è tra le prime dieci destinazioni più popolari al mondo. Quest'anno, prima della crisi, erano già arrivati 5,2 milioni di visitatori con un aumento di quasi il 14 per cento rispetto allo stesso periodo nel 2012. Istanbul, città tentacolare sul Bosforo, che attrae viaggiatori da ogni parte del globo, è ricca di celebri attrazioni turistiche, dalla Basilica di Santa Sofia, alla Moschea Blu, al Palazzo Topkapi, che per altro si trovano ad almeno trenta minuti dal teatro degli scontri di Piazza Taksim e dal quartiere di Besiktas che però è sede dei grandi alberghi e degli hotel più frequentati.

Basaran Ulusoy, il capo dell'associazione agenzie di turismo della Turchia, la Tursab, ha riconosciuto che da quando è iniziata la protesta ci sono stati cancellazioni e rinvii ma non ha dato una cifra precisa. «Stiamo cercando di trasformare le cancellazioni in rinvii», mentre il viceministro del turismo, Abdurrahaman Arci, per tranquillizzare visitatori e operatori, è volato ad Antalya per farsi fotografare accanto a Henri Giscard D'Estaing all'inaugurazione di un nuovo Club Med.

Ma Erdogan, che pure ha il merito di avere proiettato il Paese verso un boom economico eccezionale, ha precipitato la Turchia in una fase di contrapposizione ideologica e sociale come mai era accaduto negli ultimi vent'anni, risvegliando gli echi di un passato inaccettabile per una potenza-chiave della Nato, confinante con l'insanguinata Siria, che ambisce a entrare in Europa.

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