Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 19 giugno 2013 alle ore 06:40.

Un altro interrogativo è chi saranno quelli disposti alla pace. Il comandante americano dell'Isaf dubita che la rete di Jalaluddin Haqqani, pur rappresentata a Doha, abbia voglia di stipulare un accordo, condizionata dai suoi potenti sponsor, i servizi segreti militari pakistani dell'Isi.
Una distinzione importante tra i talebani, anche se i confini tra i gruppi sono spesso arbitrari, è proprio questa, tra l'ala cosiddetta nazionalista e quella che mantiene più stretti contatti con Islambad. I negoziati non prevedono la presenza del Pakistan anche se sarà il convitato di pietra perché è lì che molti guerriglieri hanno i loro santuari, ai confini con il Waziristan.
Il negoziato di Doha dovrà smentire la convinzione più pessimista che i Talebani non debbano far altro che aspettare la partenza delle forze americane e alleate per prendere il potere a Kabul. Secondo questa versione i seguaci del Mullah Omar non hanno una vera motivazione a trattare.
Ahmed Rashid, grande esperto di Afghanistan, sostiene che i leader talebani sono cambiati. Pur ribadendo che le truppe straniere devono lasciare il Paese per stabilire un vero sistema islamico, sembrano più flessibili. Forse sono soltanto più realisti: hanno capito che nel 2014 non ci sarà come nel 1989 un Friendship Bridge, dove l'ultimo soldato russo attraversò l'Amur Dariya. Inoltre i capi, che furono finanziati da al-Qaeda, hanno preso le distanze dall'organizzazione: il Mullah Omar non ha mai giurato fedeltà a Osama e neppure adottato il programma della Jihad globale, come hanno fatto i talebani pakistani. Vedremo quindi se prevarrà l'ala nazionalista o quella jihadista: la prima vuole evitare che l'Afghanistan diventi un nuovo un campo di battaglia delle influenze esterne. Anche i talebani sono logorati da una lunga guerra, hanno subito forti perdite e vogliono liberarsi dalla tutela di Islamabad. Nella decisione di negoziare c'è anche un calcolo che gli afghani non trascurano quasi mai: entrare in una coalizione di governo con dei filo-occidentali può portare sostanziosi aiuti economici. I mujaheddin, sostiene un vecchio detto, non si comprano ma si affittano. È quindi possibile almeno una "pace in prestito".
© RIPRODUZIONE RISERVATA
IL CONFLITTO AFGHANO
L'invasione del 2001
Dopo gli attentati terroristici a New York e Washington dell'11 settembre 2001, gli Usa di George W. Bush decidono di invadere l'Afghanistan con l'obiettivo di distruggere al-Qaeda e catturare il suo capo Osama Bin Laden, protetto dal regime talebano di Kabul
L'operazione Enduring Freedom inizia il 7 ottobre dello stesso 2001 con l'avanzata dell'Alleanza del Nord e i bombardamenti delle forze armate statunitensi e britanniche
Gli insorti afghani
Nel dicembre del 2001 l'Onu istituisce l'Isaf, l'International security assistance force, guidata dalla Nato. Hamid Karzai gestisce la transizione del Paese. Sfuggito alla cattura il leader dei talebani Mullah Omar organizza la guerriglia
Il ritiro delle truppe
Con la presidenza di Barack Obama inizia il ritiro delle truppe americane dal Paese. Intanto nel maggio del 2011, Bin Laden viene ucciso in Pakistan
Il completo disimpegno dei militari in Afghanistan dovrebbe avvenire entro il 2014. Nel conflitto sono morti 14.500 soldati della coalizione internazionale e almeno 15mila civili afghani

Shopping24

Dai nostri archivi