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Questo articolo è stato pubblicato il 19 giugno 2013 alle ore 06:41.

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ROMA
Ancora nulla di fatto sul conflitto di attribuzioni contro il legittimo impedimento negato dal Tribunale di Milano a Silvio Berlusconi nel processo Mediaset-diritti Tv. Ieri la Corte costituzionale ha rinviato ad oggi la sentenza, ma le indiscrezioni confermano che l'orientamento emerso è contrario all'accoglimento del ricorso dell'ex premier. Si andrebbe quindi verso un «no», seppure motivato in modo tale da lasciare alla Cassazione - dove ormai si trova il processo - più ampi margini di valutazione sulla questione. Le pressioni su Palazzo della Consulta continuano, e «il momento incide» si fa notare, sebbene appaia abbastanza improbabile un capovolgimento di fronte in favore della tesi secondo cui i giudici, davanti a un impegno governativo provato, debbano sempre fare un passo indietro. Tesi ben più radicale di quanto scrisse la Corte nella sentenza con cui bocciò parzialmente, nel 2011, la legge sul «legittimo impedimento», e cioè che l'impedimento deve essere indicato in modo «preciso e puntuale» e che è nel potere del giudice «valutare caso per caso».
La sentenza del 2011 fu scritta da Sabino Cassese, che è anche il relatore del conflitto di attribuzioni, nato da un rinvio negato dal Tribunale di Milano all'udienza del 1° marzo 2010, concordata con la difesa dell'imputato dopo che già tre udienze erano state cancellate su richiesta dell'imputato. Il 1° marzo Berlusconi, allora premier, chiese che gli fosse riconosciuto il «legittimo impedimento» a comparire perché il 24 febbraio (successivamente al calendario concordato) era stato convocato un Consiglio dei ministri proprio per quel giorno, per discutere il ddl anticorruzione (poi rinviato). I giudici respinsero la richiesta, anche perché non era stata provata «la specifica e inderogabile necessità della sovrapposizione dei due impegni». Di qui il conflitto (e poi confermato dal governo Monti) perché il Tribunale non aveva dato prova di «leale collaborazione istituzionale». Accusa rinviata al mittente.
Il conflitto è stato dichiarato «ammissibile» dalla Consulta il 9 novembre 2011, ma da allora non è stata presa alcuna decisione sul merito. A maggio 2012 furono chiesti al Tribunale di Milano alcuni atti e fu poi fissata l'udienza del 24 aprile scorso per la decisione. Ma erano giorni delicati per la formazione del nuovo governo e quindi la Corte rinviò ancora il verdetto, facendo sapere informalmente che avrebbe deciso «entro giugno».
Si arriva così a questa settimana sull'onda delle indiscrezioni di una Corte divisa, anche se con un margine sufficiente di giudici favorevoli alla bocciatura del ricorso. Accoglierlo significherebbe cambiare giurisprudenza e farsi carico delle ricadute sul processo. Ricadute non misurabili poiché l'annullamento dell'udienza "galeotta" (dove furono ascoltati tre testimoni) potrebbe risultare irrilevante nella formazione delle prove che hanno portato alla condanna di Berlusconi (in primo e secondo grado) a 4 anni di carcere e a 5 di interdizione dai pubblici uffici per il reato di frode fiscale, oppure micidiale per l'intero processo, che potrebbe essere demolito in tutto o in parte. Se la Consulta rilevasse una lesione del diritto di difesa, dovrebbe poi indicare il giudice a cui spetta verificare se l'annullamento dell'attività istruttoria compiuta il 1° marzo ha un effetto a cascata su altre prove e, quindi, sulla sentenza. Poiché il processo è in Cassazione, quest'ultima dovrebbe quindi rimandare le carte in primo o in secondo grado. Il che - anche qualora i giudici di merito escludessero qualunque incidenza sul processo - potrebbe rivelarsi fatale per la prescrizione, che scade a luglio 2014.
Se invece saranno confermate le indiscrezioni sul rigetto del ricorso, il processo andrà avanti in Cassazione, dove i legali di Berlusconi, tra cui la new entry Franco Coppi, stanno per presentare ricorso. I legali vogliono aspettare la sentenza della Consulta, convinti di trovare nella motivazione spunti utili davanti alla suprema Corte.
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