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Questo articolo è stato pubblicato il 20 giugno 2013 alle ore 06:43.

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Le forze antisommossa. La presidenta del Brasile, Dilma Rousseff, a seguito delle proteste di piazza, ha schierato dei corpi speciali di polizia. Le città che ospitano la Confederations Cup - Rio, Fortaleza, San Paolo, Recife, Porto Alegre, Belo Horizonte, Salvador - saranno quindi protette dalle "truppe d'èlite". È probabile che la presidenta con un passato da guerrigliera, qualche decennio fa, non avrebbe mai immaginato di trovarsi dall'altra parte della barricata, quella delle istituzioni che confliggono con i manifestanti più esagitati.
L'altra faccia del boom brasiliano, la crescita vigorosa di questi ultimi dieci anni, apre interrogativi che si riverberano su un intero modello di sviluppo. La crescita economica guidata da tre presidenti, Fernando Henrique Cardoso, Lula e Rousseff, ha trascinato fuori dalla miseria 30 milioni di brasiliani. Vero. Ma ha conferito loro uno status di consumatori, non di cittadini. Ai crediti, agli incentivi al consumo che hanno spinto il volano dell'economia, non ha fatto seguito un aumento della qualità dei servizi sociali, educazione, sanità, scuola.
Sono proprio queste le istanze dei manifestanti brasiliani. Il pretesto è l'aumento del prezzo dei mezzi pubblici, aumentato da 3 a 3,20 reais. Cari. A parità di potere di acquisto equivalgono a 3,20 euro. Ieri in serata San Paolo e Rio de Janeiro hanno fatto marcia indietro su questo versante, ma a fomentare le proteste di oltre 200mila persone scese in piazza contro il caro-trasporti e i Campionati mondiali di calcio del 2014 (decine di miliardi di euro) che drenano risorse pubbliche c'è molto altro: l'insofferenza per un'inflazione, superiore al 6%, che erode potere di acquisto e soprattutto la convinzione che il boom economico abbia beneficiato il mondo delle imprese ma i vantaggi siano rimasti appannaggio di pochi. Da qui lo slogan "Copa pra quem?", la Coppa per chi?, con i riferimenti alla Confederations Cup in corso in questi giorni in Brasile e soprattutto ai Campionati del mondo di calcio previsti per il 2014.
Le proteste sono un fatto inedito in Brasile, non solo per la storia politica del Paese, soprattutto per una forma mentis di un popolo che non prevede la conflittualità sociale, almeno nell'ambito del confronto tra le classi.
«Queste voci della strada devono essere ascoltate», ha dichiarato Dilma Rousseff. «Il mio Governo dà ascolto a queste voci a favore del cambiamento». E poi ancora: «Le voci della strada chiedono più vicinanza ai cittadini, più trasporti, più opportunità», ha sottolineato la presidenta di sinistra. Rousseff ha poi infine affermato di voler «comprendere che le esigenze della popolazione cambiano nella misura in cui noi trasformiamo il Brasile, aumentiamo la ricchezza, l'occupazione e l'istruzione». Con il Paese che si è collocato al rango di settima potenza economica mondiale nell'ultimo decennio «sono emersi dei cittadini che chiedono di più e hanno diritto a di più», ha concluso la presidente brasiliana. Dichiarazioni che vanno interpretate come una scelta mirata a evitare uno scontro aperto con i manifestanti. Al di là delle tecniche di comunicazione politica i problemi restano aperti.
Ciò che si percepisce, secondo il sociologo brasiliano Gabriel Cohn, è «un malessere generale, un risentimento, una frustrazione diffusa, alimentata da uno stile di gestione delle cosa pubblica poco improntato al dialogo». Rousseff, solo pochi mesi fa, aveva raggiunto vette di consenso elevatissimo, superiore al 70 per cento. Un record assoluto per il Brasile e forse per qualsiasi Paese occidentale. Il suo Governo ha affrontato a viso aperto, con coraggio e determinazione, alcuni aspetti relativi alla corruzione politica e per questo aveva ricevuto il plauso della popolazione. Ma l'onda lunga della crisi economica internazionale non ha risparmiato il Brasile e il modello economico che ultimamente è risultato troppo consumistico e poco sociale ha bisogno di essere riformato. Inoltre la trasversalità politica dei manifestanti ha spiazzato il Pt, il Partito dei Lavoratori, che ha espresso leader come Lula e Rousseff. Le proteste di questi giorni non sono guidate da un leader e ciò rende ancora più complessa la mediazione del Governo.
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