Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 22 giugno 2013 alle ore 08:15.

My24


Se lo zar Pietro aveva voluto una finestra verso l'Europa, ieri la sua città si è voltata nella direzione opposta, per guardare a Oriente. E con lei Vladimir Putin, orgoglioso testimone di un accordo da capogiro, tra i più grandi nella storia dell'industria petrolifera, 270 miliardi di dollari per la fornitura di 365 milioni di tonnellate di petrolio in 25 anni, contratti a lungo termine con cui Russia e Cina stringono un patto di ferro. L'intesa tra Rosneft e Cnpc (China National Petroleum Corporation) firmata ieri al Forum economico di San Pietroburgo è destinata a ridisegnare la geografia dell'export russo di energia.
Guardando ai mercati asiatici, Putin sembra aver ritrovato il buon umore perduto al G-8 in Irlanda del Nord. «Il valore del contratto è assolutamente senza precedenti», ha sottolineato a Pietroburgo il presidente russo, che peraltro già il giorno prima non era riuscito a trattenere l'entusiasmo e, a fianco del primo vicepremier cinese Zhang Gaoli, aveva anticipato che gli accordi con Pechino prevedono un pagamento anticipato a Rosneft di ben 60 miliardi di dollari.
Manna dal cielo per la compagnia di Igor Sechin cresciuta sulle ceneri di Yukos: quest'anno Rosneft è salita al primo posto nel mondo tra le compagnie petrolifere quotate dopo aver acquisito per 55 miliardi la jv anglo-russa Tnk-Bp. Ora, spiega Ildar Davletshin, analista di Renaissance Capital, l'indebitata Rosneft «potrà sostituire i costosi prestiti contratti con più vantaggiose forme di finanziamento commerciale a lungo termine, il che avrà un impatto positivo sulla sua posizione finanziaria».
«Sechin ora trascorre più tempo in Cina che in Russia», scherzava ieri Putin a Pietroburgo. Gli impegni di Rosneft verso Pechino, del resto, raddoppieranno.
Lo stesso Sechin ha spiegato che a partire dalla seconda metà del decennio le forniture di petrolio alla Cina passeranno dai 300mila barili al giorno attuali a 600mila barili, anche se le ambizioni di Putin e del suo alleato già volano verso un traguardo di 900mila barili. Un salto davvero notevole: rivolta soprattutto ai mercati europei, i suoi primi e piu' generosi clienti, la Russia finora era rimasta più distaccata dalla Cina per divergenze sui prezzi e per questioni logistiche: i suoi giacimenti più ricchi si trovavano nella Siberia occidentale, e il grosso della sua rete degli oleodotti corre verso l'Europa.
Ora i tubi dovranno andare dalla Siberia orientale alla Manciuria, al seguito dell'oleodotto di Skovorodino completato nel 2009. E mentre l'Europa cerca altre fonti per ridurre la dipendenza dalla Russia, l'export russo verso l'Asia - attualmente un quinto del totale - aumenterà, affidando a Rosneft il compito di sviluppare nella Siberia dell'Est depositi che prendano il posto di quelli "storici", avviati a una fase di declino. Ma il campione dell'energia russa - che anche ieri ha offuscato la stella di Gazprom quando Putin ha parlato di un graduale allentamento del monopolio sull'export di gas - è ormai lanciato su più fronti.
In questi giorni Rosneft ha rafforzato la propria alleanza con l'italiana Saras, a Pietroburgo ha rilanciato accordi per lo sfruttamento dell'Artico con Eni, l'americana ExxonMobil, la norvegese Statoil. E, di nuovo, con i cinesi di Cnpc con cui Rosneft lavorerà nel mare di Barents, ennesima prova del crescente interesse di Pechino verso l'Artico. La sorgente chiamata a spegnere nel futuro - forniture russe o no - un'inesauribile sete di energia.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Shopping24

Dai nostri archivi