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Questo articolo è stato pubblicato il 25 giugno 2013 alle ore 09:04.

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«Lo scavalco», così viene chiamato in gergo il verdetto del giudice che va oltre le richieste del pubblico ministero. Com'è accaduto ieri nel processo Ruby, poiché il collegio del Tribunale presieduto da Giulia Turri e dai due giudici a latere, Carmen D'Elia e Orsola De Cristofaro, ha scavalcato le valutazioni (e forse le aspettative) della Procura sull'entità della condanna ma soprattutto sulla qualificazione del reato più grave: non già «induzione indebita», prevista dall'articolo 319 quater del Codice penale dopo la legge 190 del 2012 sull'anticorruzione, a cui avevano fatto riferimento i Pm nella requisitoria, ma «concussione per costrizione», punita dall'articolo 317 del Codice.

Un colpo di scena che in pochi si aspettavano, dentro e fuori il Tribunale, e che riflette una valutazione ben più severa sulla condotta di Silvio Berlusconi, la notte tra il 27 e 28 maggio 2010, quando telefonò alla Questura di Milano per far liberare Ruby in quanto «nipote di Mubarak». È da ritenere che per il Tribunale quella telefonata, fatta dal Presidente del Consiglio in carica nel cuore della notte, sia stata una pressione bella e buona, esplicita, fortissima, percepita come un ordine dai funzionari della Questura. Altro che «induzione», reato peraltro incerto nelle modalità e nei confini al punto che neanche la Cassazione è finora riuscita a mettersi d'accordo, chiedendo l'intervento delle Sezioni unite (udienza il 24 ottobre). Da questa palude interpretativa il Tribunale si è tirato fuori, optando per il reato più grave, che meglio descrive quel che accadde.

Ovviamente, i giudici di appello e poi la Cassazione potranno confermare questa interpretazione o riqualificare, a loro volta, la condotta, facendola rientrare nell'«induzione» o persino nel penalmente irrilevante. La scelta del Tribunale incide soprattutto sull'interdizione perpetua, che scatta automaticamente con la condanna per concussione, mentre così non è per l'«induzione».

Tutto nasce dalla legge 190, detta anche legge Severino perché fu l'ex guardasigilli a proporre lo "spacchettamento" della concussione e la nascita dell'«induzione». Prima della riforma, l'articolo 317 puniva la concussione da 4 a 12 anni, e con l'interdizione perpetua automatica, sia nel caso di costrizione che di induzione. Tant'è che l'imputazione originaria contestata dalla Procura di Milano a Berlusconi faceva riferimento a questo articolo e qualificava «concussione per induzione» la telefonata in Questura. Con la legge 190, invece, la concussione è rimasta nell'articolo 317, ma solo nella forma più grave della «costrizione», portando il minimo della pena da 4 a 6 anni (inapplicabile retroattivamente); l'«induzione», ritenuta meno grave, è finita nel nuovo articolo 319 quater ed è stata punita meno severamente sia nel minimo (3 anni) che nel massimo (8 anni), è poi caduta l'interdizione perpetua automatica, ma è stata prevista la punibilità anche del privato (l'«indotto») fino a 3 anni. Nella requisitoria, la Boccassini aveva perciò fatto riferimento a questo articolo (il 319 quater), chiedendo una pena di 6 anni, ben più alta del minimo previsto per il nuovo reato di induzione. Anche la difesa era rimasta nel perimetro dell'induzione, chiedendo però l'assoluzione perché «il fatto non è più previsto dalla legge come reato». Sostenendo implicitamente, cioè, che la legge 190 avrebbe ridotto i confini dell'induzione, modificato la struttura del reato, lasciando fuori condotte "minori", come quella di Berlusconi nella notte tra il 27 e 28 maggio 2010.

Sia l'accusa che la difesa avevano ben presente il contrasto formatosi nel frattempo in Cassazione sul nuovo reato e sui suoi confini rispetto alla concussione vera e propria. La suprema Corte non è riuscita a trovare un filo comune per definire in modo univoco l'«induzione» e ha rimesso la questione alle Sezioni unite. Si sono manifestati tre diversi orientamenti interpretativi in contrasto fra loro e non privi di conseguenze sul piano della rilevanza penale, poiché l'adozione dell'uno o dell'altro potrebbe comportare, in concreto, la non punibilità di alcuni imputati per il vecchio reato di concussione per induzione. Ma sia la Procura di Milano sia la difesa di Berlusconi hanno sostenuto che, qualunque delle tre interpretazioni dovesse risultare vincente, il risultato non sarebbe cambiato: secondo i pm, la condanna; secondo gli avvocati di Berlusconi, l'assoluzione. Il Tribunale ha fatto una scelta diversa, più radicale, definendo «concussione per costrizione» la condotta di Berlusconi. Il che non esclude capovolgimenti, ma intanto il verdetto resta pesantissimo e non ci sarà amnistia che possa cancellarlo, data la gravità del reato. L'unica salvezza, per Berlusconi, è che i giudici d'appello o la Cassazione lo trasformino in un'«induzione».

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