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Questo articolo è stato pubblicato il 26 giugno 2013 alle ore 17:32.

IL CAIRO - Può una rivoluzione ricominciare da un appartamento di cinquanta metri quadrati? Mahmud Badr, ventottenne giornalista d'avanguardia, già reduce di piazza Tahrir e leader del nuovo tentativo, lo dà per scontato. «Come diceva Mahmud Darwish, il grande poeta palestinese, la speranza va e viene ma noi non l'abbandoniamo mai».
Il marchio che la Storia ricorderà non sarà più «Piazza Tahrir» (non è lì che avverrà la rivoluzione) ma «Tamarrud» che in arabo significa ribelle. «Morsi attento, arrivano i ribelli», è lo slogan già scritto sui muri del Cairo. Domenica i cospiratori chiameranno qualche milione di cittadini davanti al palazzo del Presidente, a Heliopolis. Busseranno alle porte del potere di Mohamed Morsi e della fratellanza islamica, e lasceranno migliaia di scatoloni colmi di petizioni.
Dopo una sintesi delle ragioni del dissenso, è scritto nella petizione prestampata: «Annuncio che il qui presente toglie la sua fiducia al Dott. Mohamed Morsi e chiede elezioni anticipate». Seguono il nome, il governatorato di residenza, un documento e la firma. «Per il 30 vogliamo arrivare a 15 milioni di petizioni: un milione più dei voti che Morsi aveva ottenuto l'anno scorso», spiega Mahmud Badr.
Dall'Islam a Nasser
Il problema non è trovare 15 milioni di egiziani delusi della mediocre e autoritaria presidenza Morsi. Il problema è cosa fare a partire dal primo di luglio. Non per Mohamed, naturalmente: «Sciopero civile, dimissioni di Morsi, creazione di un comitato di unità nazionale che si occuperà di sicurezza, economia, controllo delle frontiere, costituzione, regole. Poi nuove elezioni presidenziali e parlamentari. Al massimo entro sei mesi».
Piazza Tahrir reloaded. Bisognerebbe obiettare a Mahmud, il quale si definisce "nasseriano", che ci avevano già provato i militari senza particolare successo. Ma è quasi ingiusto scalfire il suo entusiasmo. Meglio non riferirgli della precedente chiacchierata con Hamdeen Sabahi, il nasseriano ufficiale del Fronte di salvezza che unisce a fatica le opposizioni, terzo alle presidenziali dell'anno scorso: «Se al Cairo scendono in strada in tre milioni bene, altrimenti sarà difficile fare qualcosa». Un pragmatismo che sembra una dismissione di responsabilità, caso mai l'iniziativa dei Tamarrud fallisse.
I ribelli, invece, sono eccitati perché sono quasi tutti giovani. Con Mahmud Badr si riesce a discutere solo sul balcone, all'estero dei 50 metri quadrati. L'appartamento è pieno di cartoni e petizioni che i volontari ricevono da tutto il Paese, portano per cinque piani a piedi (l'ascensore non funziona probabilmente da anni), verificano i documenti, li catalogano per governatorati, li riordinano nei cartoni che riportano giù e nascondono in luoghi segreti. «I Fratelli musulmani potrebbero tentare di distruggerli». Anche il balcone sul quale soffia un vento bollente carico di sabbia, è pieno di scatole e non sembra particolarmente stabile.
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