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Questo articolo è stato pubblicato il 26 giugno 2013 alle ore 06:42.

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di Ugo Tramballi
Il modo migliore, anche se piuttosto noioso, per capire la psicologia dei rapporti fra Stati Uniti e Russia è leggere i documenti ufficiali delle loro dottrine militari. A 24 anni dalla fine della Guerra fredda - se la caduta del Muro nell'89 è la sua data ufficiale - la bomba atomica continua a essere il pilastro del loro pensiero militare e culturale.
La "Nuclear Posture" americana enfatizza «il ruolo fondamentale delle armi nucleari, che continuerà fino a quando queste armi esisteranno». Per precauzione non viene indicata nessuna data. La Russia custodisce l'arsenale strategico, ormai unico simbolo del suo status di superpotenza, e mantiene in armi un milione di uomini: un esercito spropositato nell'epoca delle tecnologie che i russi non hanno, tranne che nell'armata nucleare. La loro dottrina militare continua a prevedere e preparare un conflitto totale con la Nato. Il genere di guerra più obsoleta e improbabile del XXI secolo.
La ragione di tutto questo, che svela il perché di tanta difficoltà nel parlarsi fra Vladimir Putin e Barack Obama su qualsiasi altra cosa, è che i due Paesi non conoscono un diverso linguaggio. Il loro idioma comune è ancora quello della Guerra fredda che gli americani hanno vinto e i russi credono possa invece essere una stagione senza fine.
Russi e americani hanno mediocri rapporti commerciali e nessuno energetico; sulla democrazia camminano lungo percorsi sempre più divergenti; la Russia non ha un'industria manifatturiera che invece Barack Obama vuole sviluppare per uscire dalla crisi; paragonate fra loro, le tecnologie dei due Paesi sembrano quelle di due secoli diversi. L'America pensa a un grande spazio commerciale con l'Europa della quale è alleata. Putin vede i Brics come un grande fronte alternativo che tuttavia non è un'alleanza economica e ancor meno politica.
Ma sulle armi nucleari, sull'equilibrio strategico, la "garanzia di mutua distruzione", si intendono perfettamente. A volte ci sono delle difficoltà, ma alla fine si intendono sempre.
Proprio perché vincitori della guerra fredda, gli Stati Uniti hanno cercato di evolversi, tentando idiomi più adatti al XXI secolo. Poi hanno sostanzialmente fatto i vincitori. Anche l'Occidente ha accettato di continuare a partecipare a questa specie di danza tribale della Guerra fredda: l'allargamento della Nato a Est, la difesa antimissilistica europea, gli interventi militari in Serbia e poi in Libia, le limitazioni ai commerci con la Russia.
Non avendo una direzione precisa verso il futuro, la Russia ha sviluppato un'ansia crescente. Si sente esclusa dal nuovo ordine globale emergente e si rifugia nel vecchio antiamericanismo. Disillusa dall'Europa è tornata a pensare eurasiatico, anche se perde il controllo delle ex repubbliche sovietiche e non ha preminenze economiche in Estremo Oriente. La fine dell'Urss aveva creato grandi speranze che si sono dissolte nel tempo. Dall'"autoritarismo con il consenso dei governati", è passata una specie di "stalinismo leggero"; lo Stato federale ha in realtà un potere centrale forte e autoritario.
Tuttavia, anche gli Stati Uniti sono disorientati davanti a un mondo sempre più multipolare e al ruolo che vi dovrebbero avere. Negli anni Novanta, l'epoca di Bill Clinton, si erano ritrovati come unica potenza globale, senza sapere cosa fare di questa impareggiabile preminenza. Negli anni Duemila, quelli di George W.Bush, ne hanno fatto un uso improprio dopo l'11 settembre, combattendo due guerre sbagliate ed esaurendo immense risorse.
I due vecchi nemici non sanno come comportarsi nel mondo. La cosa più semplice è tornare ai vecchi ruoli e alla lingua che meglio conoscono. Quella appunto della Guerra fredda: del litigio permanente che tiene viva la tensione ma non porta mai a conseguenze irreparabili.
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