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Questo articolo è stato pubblicato il 27 giugno 2013 alle ore 06:42.

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ROMA
La mancanza di una difesa integrata costa all'Europa qualcosa come 120 miliardi l'anno. Per la parte che ci compete, il risparmio che ne conseguirebbe sarebbe sufficiente a coprire il costo della doppia manovra su Imu e Iva a regime, dunque almeno 8 miliardi. «Uno spreco spaventoso, soprattutto se si considera che la spesa complessiva per la difesa dei paesi europei ammonta a circa 200 miliardi l'anno». Cifre, analisi e valutazioni contenute in un dettagliato documento messo a punto dall'Istituto Affari internazionali, in vista del summit europeo di oggi e domani e soprattutto dell'appuntamento di fine anno del Consiglio europeo sulla difesa. Argomento oggi al centro di un convegno sul tema proprio dei «costi della non-Europa della difesa», organizzato dallo stesso Iai e dal Centro studi sul federalismo.
Stando al rapporto, i fattori che determinano questo palese squilibrio, connesso alla mancanza di un'unica struttura militare europea, sono molteplici. In primo luogo, la coesistenza di 27 forze nazionali, «controllate da 27 differenti strutture di comando, servite ognuna dalla propria struttura di supporto logistico e addestrativo, ed equipaggiata con armamenti, mezzi ed equipaggiamenti prodotti e mantenuti su base nazionale». Duplicazioni che - si osserva nel documento - paiono paradossali se si considera che le forze europee svolgono missioni e operazioni quasi sempre insieme. Poi occorre fare i conti con i costi che derivano dalla mancanza di un mercato unico europeo della difesa. «Politiche para-protezionistiche nei maggiori Stati membri dell'Ue hanno contribuito a proteggere e far sbocciare una base industriale di grande rilevanza economica e industriale, oltre che ovviamente strategica». Il fatto è che il permanere di ostacoli alla concorrenza europea «rischia di farla appassire».
Sin dal fallimento della Comunità europea di Difesa nel 1954, gli Stati nazionali hanno scelto del resto di preservare «il nucleo fondamentale della propria indipendenza ed autonomia escludendo esplicitamente la difesa dall'ambito comunitario». Da qui le duplicazioni delle strutture militari, dei programmi di sviluppo e di acquisizione, «e la difformità degli standard e dei requisiti nazionali, che costituiscono pesanti moltiplicatori di costi».
La crisi sta mostrando con tutta evidenza che nessuno degli Stati membri oggi è in grado di «mantenere uno spettro completo di capacità militari». L'effetto dei tagli non coordinati a livello continentale, «non è stato immediatamente visibile ma si sta manifestando in modo via via più evidente, destando forti preoccupazioni in ambito sia Nato che Eda».
Tra il 2008 e il 2012 i paesi europei hanno ridotto le spese per la difesa da 200 a 170 miliardi di euro. Per l'Italia si profila «un'ulteriore riduzione e diluizione di alcuni importanti programmi di acquisizione, soprattutto se la riorganizzazione dello strumento militare approvata a dicembre dal Parlamento non venisse accelerata».
Ne consegue che l'appuntamento di fine anno con il Consiglio europeo pare decisivo. Il suo fallimento - si legge nel documento - segnalerebbe inevitabilmente la continuazione a tempo indeterminato dell'attuale situazione di stasi. Non è ipotizzabile un'inversione di tendenza nel breve o medio periodo. «La scelta non è quindi tra una via europea e una nazionale, ma tra una qualche via europea e l'irrilevanza strategica».
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