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Questo articolo è stato pubblicato il 27 giugno 2013 alle ore 06:41.

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Se l'ambizione dell'Italia è di divenire un hub commerciale per il gas europeo, allora la decisione da parte delle autorità azere – ancora non ufficiale – di scegliere la Trans adriatic pipeline (Tap) rispetto al Nabucco West per portare il gas azero in Europa rappresenta un grande passo in avanti. Certo, per raggiungere un tale traguardo il nostro Paese dovrebbe finalmente realizzare una politica di allineamento dei prezzi al resto d'Europa, un'efficace liberalizzazione del mercato, oltre a potenziare i rigassificatori e/o realizzarne di nuovi. Ma se tutto ciò dovesse avvenire in un tempo ragionevole l'Italia, Paese vulnerabile sul fronte energetico, potrebbe trasformarsi già tra 6-8 anni in quell'hub commerciale del gas capace di diversificare l'offerta ai Paesi europei.
Il Tap non è un progetto italiano. Tra gli azionisti figurano la svizzera Axpo (42,5%), la norvegese Statoil (42,5%) e la tedesca Eon (15%). Ma è il progetto scelto per aprire il Corridoio sud, la nuova rotta per portare metano dai giacimenti azeri all'Europa. Un Corridoio fortemente voluto dalla Ue per alternare le fonti di approvvigionamento e ridurre la dipendenza dalla Russia. Se sarà confermata la vittoria del Tap saranno premiati gli sforzi che il ministero italiano dello Sviluppo e il ministero degli Esteri hanno profuso per far sì che la pipeline approdasse sulle coste pugliesi.
In verità oggi l'Italia non ha così bisogno di gas. La recessione ha provocato una decisa riduzione dei consumi. Ma per un paese “metano dipendente” come il nostro, che importa il 90% del gas naturale che consuma, il Tap potrebbe offrire molti vantaggi. Anche perché siamo dipendenti da un “quasi oligopolio”: da Algeria e Russia arriva oltre il 65% del nostro import. Un'interruzione dell'offerta potrebbe provocare guai seri. Diversificare è ancora un imperativo.
Sul fronte commerciale, poi, i vantaggi non sono da poco. Potremmo trasportare il gas azero dalle coste pugliesi fino al confine settentrionale e da lì, per esempio, convogliarlo nel Regno unito, dove i giacimenti in via di graduale esaurimento hanno provocato un balzo della domanda. Oppure fornire altri Paesi europei. «Da un punto di vista teorico – ci aveva spiegato qualche settimana fa Giampaolo Russo, country manager per l'Italia del progetto Tap - il Trans Adriatic Pipeline ha un costo economicamente inferiore che, a cascata, si riverserà su tariffe di trasporto più convenienti. Fornendo gas a prezzi diversi, può influire positivamente su quello finale al consumatore. I tempi di esecuzione si aggirano intorno ai 3/4 anni. Siamo pienamente in linea per la realizzazione».
Dai giacimenti di Shah Deniz arriveranno in Italia circa 10 miliardi di metri cubi l'anno (6 miliardi saranno diretti prima in Turchia). Un volume non così imponente «ma se in futuro l'offerta di gas dall'area del Caspio dovesse crescere – ci aveva precisato Russo - la capacità di trasporto di Tap può essere facilmente estesa fino ad oltre il doppio».
E non c'è solo il Tap a rendere sempre più credibile l'ambizione italiana di divenire un hub commerciale. Il Galsi, il nuovo gasdotto che dovrebbe collegare le coste algerine alla Sardegna per ora resta sulla carta. Ma non è stato scartato. Nello scenario migliore si potrebbe ipotizzare una ragnatela di nuovi gasdotti che collega l'Italia all'Algeria, al mar Caspio, forse addirittura ai nuovi grandi giacimenti del Mediterraneo orientale. Perché in questi giorni a Cipro è arrivata la notizia che l'Unione europea ha inserito nei progetti di interesse comune un gasdotto che collegherebbe i giacimenti di Cipro e di Israele alle coste pugliesi.
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