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Questo articolo è stato pubblicato il 30 giugno 2013 alle ore 14:08.

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Pensioni, l'ipotesi «super-prelievo» guarda a 555mila persone - Gli intoccabili delle pensioni d'oro sono 33mila e costano 3,3 miliardi di euro

La questione è delicata, e corre a cavallo tra ragioni politiche e di bilancio. Dopo l'uno-due costituzionale con cui la Consulta ha cancellato prima il «contributo di solidarietà» sugli stipendi pubblici sopra 90mila euro e poi quello sulle pensioni dello stesso livello, un versante composito che va da Fratelli d'Italia alla sinistra ha chiesto di tornare sul tema.

La polemica è accesa, anche perché in entrambi i casi la Consulta si è pronunciata su richiesta di magistrati in genere "interessati" direttamente al problema (i ricorsi sono stati sollevati da Tar e Corte dei conti). Il Governo, per bocca del sottosegretario al Lavoro e alle Politiche sociali Carlo Dell'Aringa, ha assicurato l'intenzione di ribattere il punto, soprattutto per «incidere sulla sperequazione all'interno della spesa pensionistica» (si veda Il Sole-24 Ore di ieri): per farlo senza franare di nuovo sulla Consulta, però, occorre evitare di riservare le tagliole a una sola categoria (l'articolo 53 della Costituzione spiega che tutti i cittadini devono pagare le tasse in base alla propria «capacità contributiva», a prescindere dall'origine del reddito), e Dell'Aringa ha indicato nel «prelievo fiscale» la via più universale e quindi a prova di esame costituzionale. A innescare il ragionamento di Dell'Aringa è stata un'interpellanza del Pd, ma anche dal Pdl il capogruppo alla Camera Renato Brunetta, "mente" economica del partito, si dice interessato alla questione: «Aspettiamo che il Governo faccia proposte, vediamo se ne avrà il coraggio: certo è che la sentenza della Consulta grida vendetta».
Il nodo, appunto, è sul chi andare a colpire, perché un conto è limitare gli stipendi dei vertici della Pa (lo stesso Brunetta ha appena rilanciato la sua battaglia per la trasparenza dei compensi Rai), altro conto è imporre un "sacrificio" su tutti i redditi alti, e a seconda della platea cambiano le maggioranze politiche disposte a sostenere l'intervento.

Un dato è certo: dichiarazioni dei redditi alla mano, la platea non è sterminata ma significativa. I «contributi» di solidarietà cancellati dalla Consulta partivano da 90mila euro, e nel 2011 a dire al Fisco di guadagnare più di questa cifra sono stati 555.294 persone, cioè l'1,35% dei contribuenti. Il 57,9% di loro è lavoratore dipendente, un altro 28,3% è rappresentato da pensionati e i lavoratori autonomi sono il 13,8 per cento. Naturalmente, nella piramide assai rastremata disegnata dalle dichiarazioni italiane, quando si salgono gli scalini il numero dei potenziali interessati scende drasticamente: sopra i 100mila euro di reddito lordo annuo si collocano 428.032 contribuenti (l'1% del totale), sopra i 150mila sono in 156.728 (0,38%) e sopra i 300mila in 31.752 (8 dichiarazioni ogni 10mila). Questi ultimi sono gli unici che pagano il contributo di solidarietà ancora in vigore, quello che chiede il 3% lordo (deducibile, dunque 1,71% netto) della quota di reddito che supera appunto i 300mila euro.
In campo previdenziale, in verità, esiste però un «contributo» molto più ampio, dato dal blocco delle indicizzazioni delle pensioni superiori a 5 volte il minimo: una cifra che si attesta poco sotto i 30mila euro annui, lontanissima dai redditi considerati «d'oro» (e dai tavoli della Consulta).

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