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Questo articolo è stato pubblicato il 30 giugno 2013 alle ore 08:44.

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ROMA
Un giudizio complessivamente positivo per la direzione intrapresa. Con tanti dubbi, piccoli e grandi, sulla reale portata delle misure adottate dal governo Letta. È quel che si ricava sondando economisti ed esperti di diritto del lavoro sul combinato disposto del pacchetto varato italiano e delle misure attivate dal Consiglio europeo per combattere la disoccupazione giovanile.
«Dobbiamo essere consapevoli che questi interventi lavorano "al margine"» è il dubbio di fondo di Leonello Tronti, presidente dell'Associazione economisti del lavoro. «Non hanno cioè il potere di creare nuovo lavoro: la loro utilità è definire una direzione più chiara per la redistribuzione del lavoro esistente. Oggi – spiega – per creare nuova occupazione c'è bisogno di accelerare gli investimenti, di accrescere la propensione a reinvestire i redditi da capitale. Si tratta quindi di modificare il quadro delle convenienze economiche, di accrescere gli investimenti pubblici, di usare al meglio i fondi strutturali europei, di attrarre più investimenti esteri, detassandoli. E poi, servirebbe una politica industriale per indirizzare il risparmio privato verso imprese sane e meritevoli passando per il tramite di una garanzia pubblica. Tutte cose che richiedono la capacità politica di ragionare su un orizzonte di medio termine».
Di diverso avviso è invece Marco Leonardi, economista dell'Università di Milano: «Quello varato dal governo Letta è un provvedimento importante perché evidenzia che l'obiettivo da perseguire oggi è una riduzione del costo del lavoro, e che ha invece poco senso concentrarsi sull'articolo 18 o sulle regole di assunzione. Certo, i fondi sono temporanei e non permanenti, cosa di cui ci sarebbe molto bisogno. Ma una fiscalizzazione permanente degli oneri sociali è molto costosa».
C'è chi, come l'economista Tito Boeri, ha scritto su "La Voce" che gli incentivi potranno riguardare al massimo trentamila persone, non 200 mila. «Giovannini e Letta hanno detto che la platea potenzialmente interessata dal provvedimento è di duecentomila persone, non che ci saranno duecentomila nuove assunzioni», ribatte Leonardi. «Personalmente – aggiunge - non mi pare trascurabile ottenere trentamila posti di lavoro in più all'anno, tenendo conto che siamo in emergenza, perchè la disoccupazione giovanile è letteralmente esplosa negli ultimi tre anni».
Michel Martone, docente di diritto del lavoro alla Luiss ed ex viceministro del lavoro del Governo Monti, dà atto a Enrico Letta di aver ottenuto un successo politico orientando l'agenda europea sull'occupazione giovanile. Il lato debole, anche per Martone è nella carenza delle risorse stanziate. «Per questo - osserva- l'aumento effettivo di nuovi posti di lavoro dipenderà dal miglioramento della congiuntura internazionale. Per quel che riguarda il pacchetto italiano - aggiunge - sarebbe stato opportuno mostrare più coraggio sulla flessibilità in entrata e si é persa l'occasione di varare una norma sperimentale in vista dell'Expo in tema di contrati a termine e di partite Iva».
Stefano Scarpetta vicedirettore del dipartimento lavoro dell'Ocse, sottolinea invece che il Governo molto opportunamente ha puntato sulla fascia dei lavoratori maggiormente disagiati. «Molto importante – aggiunge Scarpetta – è poi la sfida implicita nel pacchetto europeo, in rapporto alla capacità da parte dell'Italia di usare le risorse della garanzia giovani. In altri paesi, come Finlandia e Svezia, le agenzie per l'impiego svolgono un ruolo attivo per capire quale strategia di riqualificazione "personalizzata" adottare. In Italia agiscono a livello decentrato: per evitare sprechi si potrebbe seguire l'esempio della Svizzera che ha adottato linee guida "centrali" molto precise per definire risorse e performance delle varie agenzie».
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