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Questo articolo è stato pubblicato il 01 luglio 2013 alle ore 17:53.

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Marco Pantani (Afp)Marco Pantani (Afp)

Ormai è uno stillicidio. Un tam tam. Uno spettro che s'aggira per la carovana del Tour e poi tracima nei giornali, nei siti e in tutto il mondo dell'informazione. Lo spettro è quello della lista di 44 corridori dopati nell'edizione numero 98 della Grande Boucle, quello dello scandalo Festina, dell'arresto di Zulle e Virenque, della clamorosa vittoria di Marco Pantani che, dopo oltre 30 anni dal successo di Felice Gimondi (1965), conquistava la maglia gialla a Parigi dopo aver vinto il Giro d'Italia.

Il 18 luglio prossimo, ricorda il quotidiano sportivo francese L'Equipe, una commissione del Senato francese pubblicherà una lista relativa alle analisi fatte su campioni di sangue prelevati in quell'anno. I rappresentanti dei corridori avevano chiesto che la pubblicazione non avvenisse durante lo svolgimento del Tour, ma la risposta è stata negativa.

Una impresa che passò alla storia del ciclismo imponendo Pantani come una figura leggendaria. Il romagnolo, che indossò la maglia gialla per 7 giorni vincendo anche due tappe (Plateau de Beille e Les Deux Alpes), si sottopose a almeno una decina di controlli. Il timore, è ovvio, è che anche Pantani risulti positivo. Che sia radiato a posteriori. E che la sua vittoria venga cancellata dall'albo d'oro. Con un particolare ancora più choccante: che Pantani, a differenza di altri corridori, non può difendersi dalle accuse, essendo morto il 14 febbraio 2001 per un micidiale mix di cocaina e depressione.

Sarebbe una novità devastante. Perchè il campione romagnolo non fu mai trovato positivo. Anche quando al Giro del 1999, nella tappa di Madonna di Campiglio, fu allontanato dalla corsa, la motivazione era l'ematocrito superiore al 50%. Non era un prova, ma un limite stabilito per frenare la corsa all'epo.

Ma il problema, oltre alle ripercussioni emotive che avrebbe in Italia, non riguarda solo Pantani. La domanda è: ha un senso riscrivere all'infinito la storia del ciclismo e del Tour? Dove porta, dopo tutti questi anni, scavare sempre più a fondo nel fango? E dopo? Andiamo ancora più indietro? A Indurain? A Hinault? A Merckx? A Moser e Saronni? Serve a far giustizia? Oppure serve solo ai laboratori antidoping, che si contendono il bottino dei fondi statali?

I dubbi sono tanti. Non si può continuare a riscrivere le regole e la storia del ciclismo. Lo sanno anche le pietre che negli ultimi 20 anni le corse a tappe sono state falsate dal doping, e dall'Epo in particolare. La giustizia è giustizia quando è veloce. Altrimenti non ha più senso. Se non quello di mantenere una ferita sempre aperta. E di colpire, come succede adesso, chi ha cercato di voltar pagina. C'è una insana voglia di suicidio nel ciclismo. Fermiamolo prima che sia troppo tardi

La reazione della famiglia
«Marco Pantani cancellato dal Tour? La notizia ci lascia sbigottiti». Così la famiglia Pantani reagisce alla notizia della possibile cancellazione della vittoria di Marco Pantani al Tour de France del 1998, con una lettera inviata al presidente dell'Uci Mc Quaid, al presidente della Fci Di Rocco, e al direttore del Tour de France, Christian Prudhomme.
«Abbiamo letto e in parte già commentato la notizia secondo cui, a seguito dell'inchiesta condotta dal Senato della Repubblica francese, fra i circa 44 nomi di atleti presumibilmente positivi per Epo al Tour de France del 1998 potrebbe esserci anche quello di Marco Pantani e secondo cui, se questo risultasse vero, la sua vittoria in quel Tour sarebbe passibile di cancellazione. La notizia ci lascia sbigottiti - scrivono nella lettera i genitori di Pantani, Tonina e Paolo -. Dopo consultazione con un legale di nostra fiducia, abbiamo la certezza che, pur trattandosi di analisi condotte anni dopo lo svolgimento della gara in oggetto, debbano sussistere anche per esse tutte le garanzie a tutela dell'atleta: Marco Pantani».

«Senza entrare nel merito della conservazione dei campioni o di altri mezzi di prova, ci troviamo costretti a farvi notare queste analisi sono state eseguite -aggiungono i genitori del campione italiano - dopo la morte di Marco e questo lo ha privato del più elementare diritto alla difesa, quale ad esempio quello di richiedere le controanalisi o di nominare un perito di parte per assistervi. Soltanto in caso di positività del campione B, sarebbe superfluo ricordarlo ma giova farlo, è possibile parlare di positività. Come accade anche nel diritto penale, la morte interrompe qualsiasi procedura in essere o futura a carico dell'indagato incidendo anche sul reato che viene così dichiarato estinto come estinta è la pena nel caso in cui sia nel frattempo intervenuta la condanna».

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