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Questo articolo è stato pubblicato il 04 luglio 2013 alle ore 06:43.

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A sei mesi dalla chiusura del ciclo 2007-2013 della programmazione dei fondi europei l'Italia ha speso poco meno di 20 miliardi di euro, pari a circa il 40% delle risorse programmate che sono 49,5 miliardi. Un risultato per certi versi positivo, se si guarda all'endemica incapacità italiana di utilizzare i fondi comunitari, ottenuto grazie alla riprogrammazione attuata dall'ex ministro alla Coesione, Fabrizio Barca, che ha chiesto a Bruxelles la riduzione della quota di cofinanziamento nazionale. Nessun regalo, sia chiaro. La percentuale di cofinanziamento italiana era molto più alta dei limiti previsti dai regolamenti comunitari. Ciò ha permesso tra il 2012 e il 2013 un'accelerazione della spesa dei fondi europei che ha permesso all'Italia di risalire dalle ultime posizioni nella classifica dove era adagiata da anni.
Ma gli aspetti positivi si fermano qui. I programmi europei concedono due anni di tempo dalla fine del ciclo di programmazione. Entro la fine del 2015, dunque, l'Italia dovrà essere capace di spendere le risorse non ancora utilizzate: più o meno 1 miliardo al mese per trenta mesi, da certificare a Bruxelles.
Il primo ad essere allarmato è il successore di Barca, il ministro Carlo Trigilia che, pur ricordando i buoni risultati ottenuti negli ultimi dodici mesi, nelle scorse settimane ha sottolineato la «preoccupante concentrazione» della spesa negli ultimi anni del periodo di programmazione e soprattutto in coincidenza con l'avvio del nuovo ciclo 2014-2020.
Questo è il risultato dei ritardi accumulati fino al 2011 e dal massiccio ricorso alle "sospensioni" dei progetti dovute al prolungarsi delle istruttorie, spesso impantanate in pastoie burocratiche e non solo italiane. La sospensione consente di abbassare i target di spesa nei primi anni della programmazione, evitando così di perdere risorse comunitarie. Ma ha l'effetto di aumentare le soglie di spesa nella parte finale del periodo di programmazione con il rischio sempre più concreto di non riuscire a rispettare il termine del 31 dicembre 2015.
L'annuncio del presidente della commissione Barroso dovrebbe avere l'effetto di accelerare la spesa di queste risorse perché allenta i vincoli del patto di stabilità interno che negli ultimi due anni hanno contributo in modo determinante a frenare l'utilizzo dei fondi europei perché bloccavano la quota nazionale di cofinanziamento di vari progetti.
I dati del ministero della Coesione raccontano della solita Italia. Se la media nazionale è il 40%, nelle regioni del Centro Nord il livello di spesa raggiunge il 49% delle risorse disponibili, mentre nelle regioni del Sud (nello slang comunitario l'"obiettivo convergenza") si ferma al 36. Dei 30 miliardi ancora da spendere, la maggior parte riguardano proprio queste regioni e il Fers, il Fondo europeo per lo sviluppo regionale che è anche quello più consistente.
Migliore è stata finora la capacità di spesa nei progetti finanziati attraverso il Fondo sociale europeo, di cui tra programmi nazionali e programmi regionali, l'Italia è riuscita a spendere il 52,1% delle risorse, poco sotto la media comunitaria (55,8%), meglio della Francia ferma al 49,6% e senza sfigurare rispetto a chi ha fatto meglio di noi, come Germania (60,7%) e Regno Unito (59,1%). Irraggiungibile, e da emulare, la performance della Lettonia.
@chigiu
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