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Questo articolo è stato pubblicato il 04 luglio 2013 alle ore 07:54.

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Barack Obama (Ap)Barack Obama (Ap)

Davanti al dilemma se appoggiare un presidente eletto democraticamente, ma contestato in piazza da una folla oceanica, gli americani hanno scelto i militari. Al di là delle dichiarazioni diplomatiche del dipartimento di Stato, che auspica una soluzione pacifica e sostiene «di non sapere se è in corso un golpe». Ma questo non è un colpo di Stato classico, piuttosto un golpe con sfumature di grigio, che si è insinuato tra le manifestazioni dell'opposizione e i comandi militari, dai contorni incerti ma dal risultato chiaro: Morsi non è più al potere.

La realtà è che Washington e i generali del Cairo sono legati da un filo rosso, essenziale per la sicurezza di Israele e la stabilità della regione. Chiunque sia il presidente, da Sadat a Mubarak a Morsi - l'America ogni anno elargisce alle Forze armate egiziane un contributo di 1,4 miliardi di dollari: una sorta di assicurazione contro ogni possibile rivolgimento. Questo generoso contributo (oltre a una ventina di caccia F-16 promessi dagli Usa) costituisce anche uno dei maggiori mezzi di pressione di Washington sugli sviluppi politici egiziani, anche se sugli aiuti pesa la spada di damocle della legge americana, che secondo il senatore democratico Patrick Leahy sospende i finanziamenti quando un governo democraticamente eletto viene deposto da un golpe.

I generali, potenza economica oltre che militare, non hanno mai gestito direttamente il Paese ma negli ultimi 60 anni hanno sempre manovrato il potere dietro le quinte: sono il referente ineludibile della politica americana sul Nilo.
Gli Stati Uniti, oltre al caos, temomo che Morsi faccia una fine umiliante, per questo ieri speravano ancora che si dimettesse: gli islamisti musulmani e gli alleati arabi di Washington non sono certo contenti di vederlo rotolare nella polvere. Ma gli americani hanno ammesso che oltre alla telefonata di Obama a Morsi domenica, ce ne sono state almeno un paio tra il segretario alla Difesa Chuck Hagel e il suo collega e capo di stato maggiore Abdel Fattah al-Sisi, che ha studiato a Washington ed è in ottimi rapporti con il Pentagono in quanto è stato anche capo dell'intelligence militare.
Prima degli ultimi eventi i rapporti tra gli Stati Uniti e l'Egitto dei Fratelli musulmani erano buoni. L'amministrazione Obama aveva mostrato di preferire una presunta stabilità assicurata dal governo islamico piuttosto che dare credito alle invettive dell'opposizione. Le relazioni si erano raffreddate soltanto quando Mohammed Morsi aveva avocato a sé pieni poteri con un decreto che instaurava una sorta di dittatura presidenziale mentre nelle strade saliva la marea montante della tensione sociale e della polarizzazione politica che proiettavano ombre sull'affidabilità dell'Islam politico.

Gli americani, insieme agli europei, dovevano però fare anche buon viso al gioco mediorientale. Non potevano permettersi di contestare i Fratelli musulmani quando alcuni maggiori alleati nella regione, l'Arabia Saudita e il Qatar, consentivano al governo egiziano, strangolato dalla crisi economica, di continuare a galleggiare con contributi finanziari consistenti. Non solo: l'Egitto dei Fratelli apparteneva a quel vasto schieramento sunnita che appoggiava la rivolta armata contro Bashar Assad. Pochi giorni fa Morsi aveva cacciato l'ambasciatore di Damasco al Cairo e dato il via libera all'afflusso di combattenti in Siria. Pur guardando con un certo sospetto Morsi, gli americani avevano ricevuto Essam el-Haddad, uno dei consiglieri del presidente al quale vennero rivolti grandi elogi per la mediazione del cessate il fuoco tra Hamas e Israele.
L'aspetto più preoccupante della transizione egiziana per gli Stati Uniti e l'alleato israeliano è rappresentato dal Sinai. La penisola cuscinetto tra Egitto e Israele con la Striscia di Gaza in mano ad Hamas, affiliata ai Fratelli musulmani, è diventata una sorta di terra di nessuno, santuario di bande armate e gruppi terroristici. Il Sinai, con il canale di Suez e le rotte delle petroliere tra Mar Rosso e il Mediterraneo, rappresenta la vera posta strategica dell'Egitto contemporaneo: se i militari riusciranno a riprendere il controllo dell'area avranno anche la benedizione esplicita degli Stati Uniti e dell'Europa, oltre che di Israele.

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