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Questo articolo è stato pubblicato il 05 luglio 2013 alle ore 06:43.

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LONDRA. Dal nostro corrispondente
A conclusione di una drammatica settimana per i destini dell'energia nel Regno Unito, il premier David Cameron ha tagliato il nastro del più grande parco eolico off shore al mondo. Una goccia, seppure molto significativa, nel fabbisogno energetico del Regno di Elisabetta, ma utile per capire i destini di un Paese che non sembra saper mai sfruttare del tutto la grande fortuna di cui gode da almeno cinquant'anni, quando furono avviate le estrazioni nel mare del Nord. «È un grande giorno per il Kent» , ha sottolineato il premier britannico nelle cerimonia che ha ufficialmente avviato London Array, 175 turbine altre 140 metri l'una, capaci di produrre 630 megawatt di energia, prologo ai 1000 megawatt che verranno se i progetti allo studio saranno realizzati. Il vento che batte il mare delle coste davanti al Kent basterà a soddisfare il fabbisogno energetico di 500mila famiglie britanniche.
Anzi il vento di London Array, perché impianti analoghi - seppure ridotti nelle dimensioni - già svettano attorno alle coste dell'Essex e del Suffolk. La struttura è costata 2,2 miliardi (il consorzio proprietario è composto al 50% dalla danese Dong, al 30% dai tedeschi di E.On e al 20% da Masdar di Abu Dhabi) a conferma di quanto siano capital intensive operazioni del genere. Un punto sul quale ha insistito ieri il ceo di E.On Johannes Teyssen, secondo cui è necessario entro il 2020 tagliare del 40% i costi di realizzazione e installazione delle turbine, prodotte, in questo caso, da Siemens.
Con una quota del 12,3% del fabbisogno nazionale, Londra è lontana dal vincere la sfida delle rinnovabili. Ma la diversificazione energetica è imperativo categorico per un Paese che pur godendo di grandi vantaggi "naturali" è costantemente minacciata dal rischio di interruzioni elettriche. La rete nazionale non più di due giorni fa ha avvertito le imprese britanniche di considerare possibili sospensioni nella produzione industriale fra le 4 le 8 dei pomeriggi d'inverno per l'impossibilità di assicurare la fornitura. Un allarme che sbatte con la realtà di un regno che dopo cinquant'anni di opulenza petrolifera dal mare del Nord deve fare i conti con il calo delle estrazioni, ma che potrebbe essere largamente ricompensato da altri elementi. Ricerche geologiche recenti hanno infatti rivelato che la Gran Bretagna siede su enormi riserve di shale gas. Nel solo bacino di Bowland (parte del Nord e delle Midland) è stata accertata l'esistenza di 37mila miliardi di metri cubi shale gas, un multiplo di quanto si presumeva. Se anche nel resto del Paese dovessero esistere simili giacimenti Londra avrebbe, in teoria, risolto molti problemi, non solo quelli del fabbisogno nazionale. È un grande "se" seguito da un grande "ma" ovvero le polemiche sulle tecniche di estrazione dello shale gas considerate pericolose per il territorio.
In attesa che la ricerca sia ultimata e la querelle risolta la Gran Bretagna s'accontenta di un altro primato: quello stabilito ieri con il via al mega impianto eolico sull'estuario del Tamigi.
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