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Questo articolo è stato pubblicato il 06 luglio 2013 alle ore 08:24.

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U n peso schiacciante. Insopportabile, soprattutto in un periodo di crisi economica. Un'impresa di medie dimensioni paga in Italia quasi 70 euro tra tasse e contributi su 100 euro di utile. In pratica significa che l'Erario è di gran lunga un'azionista di maggioranza. Un prelievo del 68,3% non ha paragoni nei Paesi direttamente concorrenti con l'Italia. Tanto per farsi un'idea in Germania la quota è del 46,8%, nel Regno Unito è del 35,5% mentre in Irlanda è del 26,4 per cento. L'elaborazione effettuata ogni anno da Banca mondiale nel rapporto Doing Business considera una Pmi-tipo (una società a responsabilità limitata con 60 dipendenti, 4 dirigenti, 8 assistenti e 48 lavoratori) e calcola l'incidenza di tassazione sui redditi, tasse e contributi sul lavoro e altre forme di prelievo (per esempio tasse di trasferimento di proprietà, sui dividendi e plusvalenze, sulle transazioni finanziarie, su raccolta rifiuti e circolazione).
Se poi al dato sul total tax rate si aggiunge anche il numero di versamenti (15) a cui sono chiamate le imprese italiane e il numero di ore (269) che gli adempimenti richiedono ogni anno, si capisce come il capitolo fisco e contributi rappresenti un deterrente a investire nel nostro Paese (si veda Il Sole 24 Ore di mercoledì 3 luglio).
Ma non è tutto perché calcolando (come fa il Centro studi di Confindustria) il peso del sommerso, la pressione fiscale effettiva sul Pil arriva quasi al 53 per cento. Un peso schiacciante non solo per le imprese ma anche sulle famiglie e che può rivelarsi un macigno per la ripresa.
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