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Questo articolo è stato pubblicato il 10 luglio 2013 alle ore 06:41.

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IL CAIRO. Dal nostro inviato
Forse anche i giovani Tamarrud incominceranno a domandarsi se quella che continuano a chiamare «la nostra rivoluzione» non sia invece stato un golpe. Nelle faticose decisioni e nelle nomine ancora più difficili del governo ad interim, il processo assomiglia sempre di più a una restaurazione.
Il nuovo primo ministro incaricato si chiama Hazem al-Beblawi, è stato per brevissimo tempo responsabile delle Finanze del secondo dei quattro esecutivi nati e caduti dal 2011 a oggi. Come premier è la quarta scelta: il primo era stato Mohammed el-Baradei, il secondo Ziad Bahaa Eldin, silurati dai salafiti ultrareligiosi perché laici.
Il terzo era Samir Radwan, respinto dai Tamarrud perché è stato l'ultimo ministro delle Finanze di Mubarak. Radwan, noto per essere un economista liberale, esperto di sviluppo nei Paesi del Terzo Mondo, in realtà era stato scelto dal dittatore nell'illusione di calmare la rivolta di piazza Tahrir. Dopo la vittoria della rivoluzione, con coerenza Radwan aveva dato le dimissioni. Anche nel nuovo Egitto è difficile non trovare figure del passato: i "feloul", che in arabo significa resti, ciò che resta del vecchio regime.
Alla fine è rimasto al-Beblawi, carneade perbene. Anche lui è uno dei fondatori del Partito socialdemocratico. Nel 2011 aveva abbandonato il governo pochi mesi dopo essere stato nominato, in segno di protesta contro il massacro di copti cristiani scesi pacificamente in strada a protestare. La carneficina, mai punita, era stata perpetrata dai militari, arrivati fino alla televisione di Stato davanti alla quale si teneva la manifestazione, per soffocarla nel sangue.
Mohammed el-Baradei era la scelta originale per il posto di primo ministro, sostenuta dai Tamarrud e dall'intero fronte democratico. Erano stati i salafiti a impedirla a ogni costo: per loro il candidato era troppo laico e razionalista. El-Baradei è stato invece promosso vice presidente, responsabile per i rapporti con l'estero. La politica internazionale è la specializzazione di el-Baradei, che ora potrà sostenere il nuovo Egitto soprattutto fra la diplomazia occidentale, che lui conosce meglio e dalla quale è sinceramente rispettato.
Oltre al premier e alle scadenze elettorali - referendum costituzionale in quattro mesi, parlamentari a febbraio, presidenziali a seguire - il presidente ad interim Adly Mansour ha anche imposto per decreto 33 articoli della Costituzione provvisoria. Decaduta quella di Mohammed Morsi, nemmeno nel l'emergenza il Paese può essere governato senza alcune regole fondamentali.
Fra i 33 articoli a tempo determinato, c'è una lettura del ruolo centrale della sharia, la legge islamica, molto più radicale di quanto non fosse nella Costituzione dei Fratelli musulmani. I salafiti lo hanno preteso e i Tamarrud si sono opposti: avrebbero vinto i fondamentalisti islamici. I giovani che guidano la piazza, ma non il risultato del loro successo, si erano risentiti per non essere stati consultati da Mansour, prima che emettesse i suoi decreti. Come premio per quello che hanno fatto, raccogliendo milioni di petizioni contro Morsi e milioni di manifestanti, ai Tamarrud è stato offerto il dicastero ai Giovani. Un premio piuttosto magro. I ragazzi della seconda ondata rivoluzionaria rischiano di durare ancora meno dei blogger della prima, due anni e mezzo fa. Completamente scomparsi dalla scena. Messi da parte per far lavorare i grandi, le solite facce. Come i ragazzi di Tahrir 2011, prima o poi anche quelli del 2013 torneranno in piazza a protestare contro i militari.
Ma intanto il generale Abdel Fattah al-Sisi, capo capo di stato maggiore delle forze armate e ministro della Difesa, è tornato a farsi sentire, ieri sera. La sua carica è l'unica a non essere stata messa in discussione. In ogni governo: quello attuale in costruzione, quello dei Fratelli musulmani e i precedenti. Con un discorso trasmesso dalla tv, al-Sisi ha avvertito che né l'esercito né il popolo egiziano accetteranno «blocchi o ostacoli» a questo «difficile periodo di transizione». Il futuro della nazione, ha detto il generale, «è troppo importante e sacro per manovre che lo impediscano, qualunque siano le giustificazioni».
La fratellanza ieri ha ufficialmente respinto la road map e ogni altra decisione presa da Mansour, arroccata nel suo rifiuto di ogni transizione, anche se bisognerà vedere come risponderà al neo premier al Beblawi, intenzionato ad offrire alcuni ministeri al partito Libertà e Giustizia, l'ala politica dei Fratelli musulmani e al partito Nur salafita.
Sulla stampa egiziana prosegue la demonizzazione dei Fratelli musulmani, accusati di ogni crimine. Di collaborare con Israele, di cedere agli stranieri il canale di Suez, di attentare alla vita dei militari, di organizzare il terrorismo. Mohammed Morsi, il presidente esautorato, sarebbe stato trasferito in una prigione sicura fuori dal Cairo, in attesa di raccogliere o costruire le prove del suo alto tradimento alla patria. Il contradditorio è vietato. Giornali e televisioni vicini alla fratellanza sono stati chiusi, e non ne è prevista la riapertura.
Con l'inizio del Ramadan, ieri sera, la vita del Cairo diventa notturna: di giorno si digiuna e a metà luglio, 40 gradi di calore, l'attività politica diventa complicata senza pane né acqua. Ma i pericoli di nuove violenze non diminuiscono: il clima religioso del mese santo non aiuterà a calmare gli animi.
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