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Questo articolo è stato pubblicato il 11 luglio 2013 alle ore 19:04.

IL CAIRO - Pochi durante le ore calde del Ramadan, molti di più al tramonto appena cessa il digiuno, migliaia di Fratelli musulmani continuano a manifestare davanti alla caserma sbagliata. Cercano di avvicinarsi e lanciano slogan verso il circolo ufficiali della guardia repubblicana: vicino al ministero della Difesa e a 500 metri da Rabaa al-Adawiya, la moschea diventata il cuore della loro resistenza.
Il luogo è sbagliato perché non è più lì che i militari tengono prigioniero Mohamed Morsi, il presidente eletto ed esautorato dalla rivolta. Da qualche giorno è stato trasferito fuori dal Cairo in una prigione più sicura. Il portavoce del ministero degli Esteri – non della Difesa né della polizia – garantisce che il prigioniero è "in un luogo sicuro" e che è trattato "in modo molto dignitoso". Ma una settimana dopo la detenzione, nessuno specifica i capi d'accusa: accade così quando è un golpe a vincere, non una democrazia.
Convinti di non aver perso, i Fratelli musulmani continuano la loro mobilitazione. Dopo la "marcia del rifiuto" e la "marcia di un milione di martiri", per domani, primo venerdì di Ramadan, è stata annunciata la "marcia di un milione di uomini contro gli usurpatori". Ci saranno anche le donne ma i Fratelli musulmani non le contano mai.
Hazem al-Belawi, il premier incaricato di formare il nuovo governo, insiste nel sostenere di voler offrire un ministero anche ai Fratelli musulmani. "Io non guardo all'associazione politica – garantisce – Ho due criteri per il nuovo governo: efficienza e credibilità".
La fratellanza non gli crede e ha già respinto la proposta. Ma ora che la leadership è in prigione e chi, come la guida spirituale Mohamed Badie, è alla macchia, si fa strada l'ipotesi di una trattativa. Soprattutto fra i giovani della fratellanza, più aperti e meno legati alla vecchia guida spirituale.
L'isolamento è evidente e la possibilità del reinsediamento di Morsi inesistente. Almeno fino alla verifica di domani, consueto venerdì di preghiera e di lotta, alle manifestazioni partecipa un numero decrescente di sostenitori. L'ultimo segno del vuoto attorno a loro è stato l'annuncio che, nonostante quel che succede al Cairo, gli Stati Uniti consegneranno all'Egitto dei generali gli ultimi quattro caccia F16 di una commessa già decisa tempo fa quando governava Morsi. Dopo gli arabi del Golfo con il denaro, anche per gli americani ormai l'Egitto è una questione di realismo, non di idealismo.
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