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Questo articolo è stato pubblicato il 12 luglio 2013 alle ore 06:45.

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MILANO
Era rimasta l'unica sul banco degli imputati dopo l'uscita di scena per prescrizione di cinque ex manager, e ieri Saipem, società del gruppo Eni, è stata condannata a una multa di 600mila euro e alla confisca di 24,5 milioni di euro. È questa la sentenza emessa dai giudici della quarta sezione penale del tribunale di Milano al termine del processo per corruzione internazionale in Nigeria. La società del gruppo Eni era imputata in virtù della legge 231 del 2001 sulla responsabilità degli enti ed è stata ritenuta colpevole di illecito amministrativo per le presunte mazzette versate dai suoi ex manager per ottenere un maxiappalto nel paese africano. I pm Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro avevano chiesto la condanna a una multa di 900mila euro, oltre alla confisca dei 24,5 milioni, ma il tribunale ha concesso uno sconto di un terzo applicando alla società le attenuanti generiche.
La somma di cui De Pasquale e Spadaro avevano chiesto la confisca era stata già versata nel febbraio 2011 da Snamprogetti Netherlands. In quella occasione la procura di Milano aveva rinunciato al ricorso al tribunale del riesame sulla richiesta di misure interdittive per Saipem. I 24,5 milioni di euro sarebbero la differenza «tra il profitto illecito individuato dall'autorità giudiziaria italiana, cioè 65 milioni e l'importo versato come risarcimento dalla società alla Nigeria», come aveva spiegato lo stesso De Pasquale nella sua requisitoria.
All'inizio del processo erano imputati anche Luigi Patron, presidente di Snamprogetti dal 25 maggio 1996, Angelo Caridi, amministratore delegato Snamprogetti dal 29 luglio 2002, e tre dirigenti del gruppo all'epoca dei fatti (dal 1995 al 2004), Ferruccio Sigon, Alfredo Feliciani e Mauro Lazzari, accusati di corruzione internazionale. I fatti contestati alle persone fisiche sono caduti in prescrizione lo scorso anno e nell'aprile 2012 il reato di corruzione internazionale che veniva loro imputato è stato dichiarato estinto.
Secondo la ricostruzione dei pm – accolta sostanzialmente dal tribunale – per dieci anni, dal 1994 al 2004, il consorzio Tskj, di cui facevano parte Snamprogetti Netherlands BV (società controllata da Eni, confluita in Saipem) con una quota del 25%, gli americani di Halliburton, i francesi di Technip e i giapponesi di Jgc, avrebbe pagato 180 milioni di dollari in tangenti a politici e funzionari della Nigeria in cambio degli appalti per la costruzione di impianti di liquefazione del gas a Bonny Island, nel sud del Paese africano, un progetto da 6 miliardi di dollari.
I difensori di Saipem, gli avvocati Angelo Giarda e Massimo Pellicciotta, hanno annunciato ricorso in appello dopo aver espresso «estrema meraviglia per l'esito totalmente sganciato dalle acquisizioni probatorie emerse in sede dibattimentale». E in una nota diffusa subito dopo la sentenza, Saipem ha ribadito che «valuterà le motivazioni alla base della decisione e ricorrerà comunque in appello, ritenendo non sussistano i presupposti per dichiarare la responsabilità della società ai sensi del D.Lgs. 231/2001. Saipem è stata coinvolta nel procedimento relativo alle attività del Consorzio Tskj in Nigeria nel periodo 1994-2004, solo perché nel 2006 Saipem Spa ha acquistato Snamprogetti Spa, società controllante Snamprogetti Netherlands BV, che detiene una partecipazione del 25% nel Consorzio Tskj. La decisione oggi – prosegue la società – non ha, in ogni caso, alcun impatto finanziario su Saipem poiché Eni, in occasione della cessione di Snamprogetti Spa, si era impegnata a indennizzare Saipem per le perdite a danno di quest'ultima con riferimento alla vicenda Tskj».
Saipem è al centro anche di un'altra indagine della procura di Milano che riguarda presunte tangenti pagate in Algeria. Nel registro degli indagati è stato iscritto l'amministratore delegato dell'Eni, Paolo Scaroni, insieme ad alcuni manager o ex manager Saipem: Nerio Capanna, Tullio Orsi, Antonio Vella, Pietro Tali (che si è dimesso da ad dopo la notizia del suo coinvolgimento nell'inchiesta), Alessandro Bernini e Pietro Varone. I sette sono accusati di aver distribuito mazzette in Algeria per 197 milioni di euro attraverso il mediatore Bedjaoui Farid Noureddine.
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