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Questo articolo è stato pubblicato il 14 luglio 2013 alle ore 13:59.

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ROMA - La «carenza informativa» all'autorità politica sul caso Ablyazov, denunciata da Palazzo Chigi, si annida ai massimi vertici del ministero dell'Interno. Mentre per ora non potrà tornare in Italia Alma Shalabayeva, la moglie del dissidente kazako, nonostante la revoca dell'espulsione. Il governo di Astana ha precisato ieri che la signora «non è in prigione o agli arresti domiciliari», ma ha obbligo di residenza ad Almaty per il pericolo di fuga: è indagata in un'inchiesta per corruzione sul rilascio di passaporto per il marito e i famigliari. Il console italiano in Kazakistan «si è recato nella casa di Alma - dicono fonti del ministero degli Esteri italiano - per raccogliere la sua firma in calce al ricorso contro il provvedimento di espulsione dell'Italia». Nel ricorso, tra l'altro, la Shalabayeva sostiene di aver fatto domanda d'asilo in Italia sin dall'inizio. E Ablyazov, in un messaggio indirizzato al premier Enrico Letta, avverte: «Grazie per questa decisione coraggiosa (la revoca dell'espulsione, n.d.r.) ma adesso temo che il regime di Nazarbayev reagirà mandando mia moglie Alma in prigione e la mia bambina Alua all'orfanotrofio». Intanto il ministro dell'Interno, Angelino Alfano, ha chiesto al direttore generale di Ps, Alessandro Pansa, di chiudere in pochi giorni l'inchiesta per accertare le mancate informazioni sul rimpatrio della Shalabayeva.

Va detto che la Polizia di Stato non deve comunicare all'autorità politica i decreti di espulsione. Palazzo Chigi però fa notare che la mancanza informativa c'è stata su una «vicenda che comunque presentava sin dall'inizio elementi e caratteri non ordinari». Ma quali? È un fatto ormai accertato che all'inizio della storia c'è l'ambasciatore del Kazakistan in Italia, Andrian Yelemessov. Il diplomatico segnala al Viminale la presenza a Roma di Muktar Ablyazov: dal suo punto di vista è un pericoloso criminale e a onor del vero lo è anche per l'Interpol, come poi accerta la questura. Non è noto chi abbia detto a Yelemessov della presenza di Ablyazov a Roma e l'interrogativo è alquanto inquietante.

Il diplomatico comunque non riesce a contattare Alfano, allora incontra prima il gabinetto del ministro e poi, di conseguenza, va alla questura di Roma. Il resto della storia, ormai nota, dal punto di vista della polizia è in realtà un fatto ordinario, quantomeno nelle fasi esecutive. Anche perché nessuna delle banche dati Interpol e forze dell'ordine segnala che Ablyazov è un dissidente né alcun altro soggetto istituzionale lo fa presente agli agenti. La «regolarità formale» del procedimento, del resto, è testimoniata anche da Palazzo Chigi. Ma allora, dove e perché c'è stata la «carenza informativa»? La verità è una sola, molto semplice: alla fine di maggio per il ministero dell'Interno l'espulsione e il rimpatrio della moglie e della figlia di Ablyazov erano un fatto secondario, anzi marginale, quasi irrilevante. I prefetti a capo degli uffici di vertice del Viminale erano tutti in tensione per ben altra questione: la nomina del capo della Polizia, attesa da oltre due mesi. Attenzione alle date: il 28 maggio scatta l'operazione della squadra mobile per scovare Ablyazov, nel frattempo dileguatosi, e il 31 maggio la moglie e la figlia sono rimpatriate. È lo stesso giorno, un venerdì, in cui il governo nomina Alessandro Pansa, che si insedierà il lunedì successivo.

Il Viminale in quelle ore, anzi in quei giorni, è nella massima fibrillazione. Certo, è scontato che Maurizio Improta, dirigente dell'ufficio immigrazione a Roma, abbia informato prima e dopo il rimpatrio il questore Umberto Della Rocca. Ed è altrettanto scontato che Della Rocca lo abbia reso noto al vertice del Dipartimento Ps il quale, a sua volta, dovrebbe averlo condiviso con il gabinetto del ministro, visto proprio l'incipit e l'impulso iniziale. Ora la ricostruzione dei passaggi informativi nella catena gerarchica è proprio il centro dell'indagine di Pansa, che deve scoprire dove le carte e le informazioni si sono fermate. Ma deve anche dimostrare, e non è affatto facile, se c'è stato dolo o colpa grave nello stop informativo. Insomma, l'irritazione di Pansa e di Alfano per la vicenda è certa. Ma non è affatto sicuro che salti qualche testa. Soprattutto di alto livello.

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