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Questo articolo è stato pubblicato il 16 luglio 2013 alle ore 06:44.

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Leggendo le parole, riportate dagli organi di stampa, pronunciate dal vice presidente del senato Roberto Calderoli durante una festa della Lega nord, «quando vedo le immagini della Kyenge non posso non pensare alle sembianze di un orango», è inevitabile per qualsiasi giurista immaginare eventuali scenari in punto di applicabilità di alcune fattispecie penali.
Il "ragionamento", qualificato da una scansione letterale fortemente suggestiva e quindi certamente diffamatoria anche per il richiamo alla figura di un animale, potrebbe addirittura rientrare nel raggio d'azione della legge 13 ottobre 1975 n. 654 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione Internazionale sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale) che punisce con la reclusione fino a un anno e sei mesi o con la multa fino a 6mila euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità, o sull'odio razziale o etnico. Si tratterebbe infatti di un accostamento offensivo di valenza discriminatoria - animale-orango-negro, basato su un sentimento di avversione verso cittadini di etnia diversa elevato a ragionamento di tipo politico ed espresso da un rappresentante istituzionale in pubblico. La Cassazione, con una sentenza del 22 novembre 2012, ha ritenuto che integrasse proprio il reato di propaganda di idee discriminatrici l'intervento di un consigliere comunale contenente affermazioni fondate sull'odio e la discriminazione razziale ai danni delle comunità Rom e Sinti nel corso di una seduta consiliare. Certamente, ed è questo il senso della norma incriminatrice, il nostro ordinamento non può tollerare per una espressa tutela dell'equilibrio pubblico, atteggiamenti che tendano a propalare idee, e quindi a generare o rafforzare sentimenti, di avversione verso forme personali di diversità.
Peraltro, e in questo senso le decisioni, anche recentissime, dei giudici appaiono assolutamente omogenee e uniformi, nelle parole rivolte al Ministro Kyenge sarebbero sicuramente ravvisabili i profili del reato di diffamazione aggravata dall'odio razziale (articolo 3 Dl 122/1993), configurabile non solo quando l'azione è intenzionalmente diretta a rendere percepibile all'esterno e a suscitare in altri analogo sentimento di odio e comunque a dar luogo al concreto pericolo di comportamenti discriminatori, come sembrerebbe essersi verificato nel "discorso di Treviglio", ma anche quando si rapporta a un pregiudizio manifesto di inferiorità di una sola razza. È per questo motivo che la Corte di Cassazione, con diverse sentenze, tende a ravvisare la predetta circostanza aggravante in espressioni del tipo "negro perditempo" (23 settembre 2008) e "sporco negro" (28 gennaio 2010).
Una modifica dell'articolo 61 del codice penale per far scattare la circostanza aggravante delle motivazioni razziali tutte le volte che venga riscontrato un reato è stata chiesta anche dal Comitato Onu, nelle osservazioni conclusive del 9 marzo 2012 dopo l'esame della situazione in Italia in base all'articolo 9 della Convenzione internazionale del '65.
Resta sullo sfondo l'istituto previsto dall'articolo 68, primo comma, della Costituzione che sancisce l'immunità per i membri del Parlamento in relazione alle opinioni espresse nell'esercizio delle loro funzioni. Ma nel caso specifico sembra mancare il "nesso funzionale" richiesto dalla giurisprudenza fra l'aggressione diffamatoria messa in atto all'esterno delle aule parlamentari e la funzione svolta.
Giudice penale Tribunale di Milano
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