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Questo articolo è stato pubblicato il 17 luglio 2013 alle ore 06:43.

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Il prefetto Giuseppe Procaccini (Ansa)Il prefetto Giuseppe Procaccini (Ansa)

«Signor Ministro, la vicenda dell'espulsione della signora Shalabayeva e di sua figlia mi ha indotto a rassegnare le dimissioni» scrive nella lettera ad Alfano il suo capo di gabinetto, Giuseppe Procaccini. «Devo confessarLe che ho continuamente ripercorso la vicenda e mi sono anche interrogato se qualcosa mi fosse sfuggita» aggiunge. «Ma tutto mi riporta alla obiettiva circostanza di non essere stato informato» sull'espulsione.

Procaccini lascia l'incarico con decorrenza 18 luglio e decide di andarsene in pensione con nove mesi di anticipo: non accade mai. Le due pagine scritte ad Alfano e inviate lunedì sera sono intrise di dolore e amarezza ma anche di un senso di dignità che non vuole piegarsi. «Sono testimone di quanta distorsione profonde della realtà sia stata consumata in questi giorni da una comunicazione velenosa, offensiva, fantasiosa e stancante». Procaccini manda la lettera lunedì, il giorno prima della relazione del capo del dipartimento Ps: «So che il collega Pansa gestirà con lealtà e professionalità l'incarico». E anticipa i tempi della sua uscita proprio «ad evitare l'ulteriore concentrazione di offese e falsità».

Sull'inizio della storia il capo di gabinetto è diretto: «Ho mantenuto una linearità istituzionale priva di ogni invasività cercando di operare da tramite funzionale circa la presenza nel nostro Paese di un pericoloso latitante armato» cioè Mukhtar Ablyazov. Certo, il prefetto ammette «che ignoravo», scrive, «ciò che poi si è sviluppato». Una questione ormai comunque nella responsabilità esclusiva della Polizia. Gli «attacchi indecenti» al gabinetto, osserva Procaccini, «minano e incrinano tale delicato ruolo» così come «la fiducia senza condizioni, la stima e l'autorevolezza interna». E il prefetto parla della fiducia «con gli uomini delle forze di polizia, del soccorso e i tanti colleghi e collaboratori». Nota che «è amaro e ingiusto lasciare in questo modo» ma il motivo è che «l'amministrazione ha ancora più bisogno» di un capo di gabinetto «motivato».

E lascia nella lettera ad Alfano un passaggio molto doloroso: quando ricorda un'unica ma enorme sofferenza. «Ho sicuramente limitato la mia dimensione familiare» mentre «ho visto il mio amato figliolo Fabrizio» scomparso a 33 anni «andare pian piano via». Giuseppe Procaccini rammenta che, nell'ultimo saluto a Fabrizio, «gli ho promesso che avrei cercato di agire perché lui possa essere orgoglioso di me».
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