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Questo articolo è stato pubblicato il 17 luglio 2013 alle ore 14:05.
La povertà è un incubo oramai di tutti. Lo sottolinea l'Istat nel suo rapporto 2012 sulla povertà in Italia. Oltre che tra le famiglie di operai e tra i avoratori in proprio, quella assoluta aumenta tra gli impiegati e i dirigenti, e tra le famiglie dove i redditi da lavoro si associano a redditi da pensione. Quando si parla di povertà assoluta, tanto per rendere l'idea, si fa riferimento a una situazione di particolare gravità, che vede le persone incontrare non poche difficoltà per procurarsi beni e servizi che, nel contesto italiano, vengono considerati essenziali per una determinata famiglia, per conseguire uno standard di vita minimamente accettabile. Anche tra le famiglie non povere, rincara l'Istat, esistono gruppi a rischio di povertà. Si tratta delle famiglie con spesa per consumi equivalente superiore, ma molto prossima, alla linea di povertà e corrispondono nel 2012 a circa 700mila persone. Sono persone che, dunque, rischiano di ingrossare le fila della povertà.
L'economista: il fenomeno colpisce. La situazione andrà peggiorando
Un messaggio, quello che esce fuori dal report Istat, disarmante e drammatico. «Colpisce che la piaga della povertà caratterizzi ora tutte le categorie», afferma Salvatore Monni, che insegna Economia dello sviluppo all'università degli studi Roma Tre, ma il problema è che «questa esplosione della povertà assoluta tra tutte le fasce della popolazione - tra gli impiegati e i dirigenti è infatti raddoppiata, passando dall'1,3 al 2,6% - continuerà nei prossimi anni». L'Italia, ricorda infatti il professore, deve affontare una doppia crisi: quella congiunturale, che è iniziata nel 2008, e quella strutturale, conseguenza dell'incapacità del Paese di prendere decisioni utili in un ottica di medio, lungo termine. «Dobbiamo fare riforme di carattere strutturale - sottolinea Monni - che tuttavia produrranno i primi effetti, nella migliore delle ipotesi, nell'arco di un decennio».
Il sociologo: ora tutti nella stessa barca, magari in posizioni diverse...
Il fatto che la povertà minacci tutti dimostra - commenta Enzo Mingione, docente di sociologia generale presso l'università degli studi di Milano Bicocca - che «nonostante l'Italia rimanga un Paese con fortissime diseguaglianze, il confronto di classe che ha animato il dibattito politico e sociologico degli ultimi anni, lo scontro tra proletariato e borghesia, forse oggi non c'è più. Tutti sono sulla stessa barca - spiega Mingione - magari in posizione diverse...».
I dirigenti: noi l'avevamo detto
I dirigenti, da parte loro, sottolineano: noi l'avevamo detto. «L'aumento della povertà dall'inizio della crisi nel 2008 - sottolinea Guido Carella, presidente Manageritalia - è un dramma che colpisce purtroppo sempre più famiglie e i dati rilasciati oggi dall'Istat testimoniano, come noi ben sappiamo, che toccano anche impiegati, quadri e dirigenti. Basti pensare che dal 2008 a al 2012 oltre 56mila dirigenti sono stati licenziati nel settore privato in Italia. E una volta licenziati ritrovare un incarico di qualsiasi tipo è oggi difficile per tutti, spesso ancor più per chi ha un'elevata professionalità. Certo le famiglie di impiegati e dirigenti sono percentualmente le meno toccate - continua Carella -. Ma va sfatato il mito che i manager anche se perdono l'incarico non soffrono. Infatti, il dirigente, che comunque è sempre licenziabile, anche a fronte di un'indennità di licenziamento che va da sei a dodici mesi, non cade quasi mai in una povertà immediata. Ma a volte basta anche meno di un anno senza reddito e una condizione famigliare di un certo tipo (moglie che non lavora, più figli, impegni finanziari sul fronte casa ecc.) per arrivare vicino alla soglia di povertà».
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