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Questo articolo è stato pubblicato il 18 luglio 2013 alle ore 07:14.
La magia del teatro permette di riportare indietro l'orologio del tempo. Alle 16.58 del 19 luglio 1992, quando in via D'Amelio a Palermo un'autobomba esplose e pose fine alla vita terrena di Paolo Borsellino e degli uomini che gli facevano da scorta: Vincenzo Li Muli, Walter Cusina, Agostino Catalano, Claudio Traina ed Emanuela Loi. Nell'ultimo decimo di secondo tra l'esplosione e la morte, Paolo Borsellino ricompone memorie e sogni della sua vita. Parla e racconta, racconta e parla. Dubita di essere vivo e dubita di essere già morto.
Questo vivranno domani – sulle corde di un'emozione vivissima in occasione del 21esimo anniversario della strage – gli spettatori che assisteranno nel chiostro dell'abbazia S.M. Arcangelo di Montescaglioso (Matera) allo spettacolo «Paolo Borsellino – Essendo Stato», scritto e diretto dal 2004 e ora anche interpretato da Ruggero Cappuccio. E' l'ennesima, lunga e fortunata rappresentazione di uno spettacolo che non è solo teatro ma luogo della memoria e della vita. Lo sarà anche domani, perché al termine dell'evento – voluto e organizzato dall'associazione antiracket Falcone-Borsellino - ci sarà un dibattito al quale parteciperanno anche Filippo Bubbico, vice ministro dell'Interno e Giuseppe Attimonelli, presidente del Tribunale di Matera.
La cosa particolare di quest'opera è – che per accordo con lo stesso autore – alcuni magistrati l'hanno portata in scena adattandola secondo la propria sensibilità. E' accaduto per la prima volta con Franco Roberti, oggi a capo della Procura di Salerno e autorevole candidato a guidare la Dna. Poi, negli anni è toccato a Oscar Magi, presidente della quarta sezione penale del Tribunale di Milano, che solo poche settimane fa l'ha messa in scena al Teatro Francesco Cilea di Reggio Calabria.
Cappuccio non mette solo in scena il filo della vita e della morte di Borsellino ma anche alcune pagine di storia di questo Paese, spesso dimenticate. Solo lo scorso ottobre, infatti, ha ricevuto dal Csm l'autorizzazione a raccontare e rendere pubbliche le audizioni rese il 31 luglio 1988 davanti allo stesso Csm da parte di Paolo Borsellino e del suo amico di vita e di morte Giovanni Falcone. Solo questo spicchio di storia – che ora arricchisce lo spettacolo - vale più di ogni altra cosa, anche alla luce del fatto che i sonori di quelle audizioni non si trovano più. La memoria, dunque, si conserva a teatro.
Cappuccio racconta a "Ora Legale" il suo spettacolo con un'intensità emotiva che non è scena ma realtà. Forse mai come in teatro il confine è labile. «Ho scritto un diario immaginario sulla linea di confine. Un secondo che si dilata immensamente e nel quale Borsellino si domanda se è già morto e vede la sua vita dall'angolo della morte o se è ancora in vita e sta guardando la sua vita dall'angolo della vita».
Prima di calcare le scene, Cappuccio – napoletano di origine, romano di adozione, siciliano per sangue – ha incontrato personalmente la vedova e la famiglia del giudice. «Visto che toccavo registri personali del marito – spiega Cappuccio - incontrai la moglie, Agnese, e le chiesi di leggere il testo. Se non lo avesse approvato sarebbe rimasto per sempre in un cassetto. Mi chiamò dopo un mese, scusandosi per il ritardo ma aveva potuto leggere solo qualche pagina a sera per le lacrime che le scendevano. Mi domandò come mai una persona che non fosse di Palermo avesse inteso così bene il linguaggio e il sistema delle allusioni siciliane. Poi voleva capire come può uno scrittore che non ha frequentato i corridoi della magistratura, raccontarli così bene. Risposi che è il fatto a invasare lo scrittore. Agnese era entusiasta e a quel punto volevo mettere in scena una messa laica, che ferisce e sublima. Il lavoro debuttò a Benevento dove nel 2004 mi raggiunse Agnese Borsellino e il Tg3 la colse mentre asciugandosi le lacrime dichiarò che era stato fatto risorgere lo spirito del marito. Vide altre due volte lo spettacolo, una a Santa Maria Capua Vetere e l'altra nella sua Palermo».
Il pubblico non è tutto uguale. Alla prima di Palermo il teatro Biondo era stato isolato, le strade sbarrate e i cani poliziotti erano ovunque. Duecento abbonati non andarono alla prima ma c'erano 72 magistrati. Tanti e tutti insieme non se ne vedono neppure in Tribunale. «C'era molta circospezione – ricorda Capuccio - e i siciliani sono il pubblico più ermetico mentre a Firenze e Milano il pubblico esce dal Teatro con la rabbia e la sublimazione di scoprire che Borsellino era ed è ancora vivissimo».
Ma – come tutti i docenti e il teatro è scuola di vita – Cappuccio sa che è sui giovani che bisogna puntare i radar della formazione e la costruzione delle coscienze. «In Calabria il pubblico, molto giovane, fu attraversato da grande partecipazione. Mi colpisce – conclude Cappuccio - il livello di partecipazione ed entusiasmo che accende questi ragazzi di 19 o 20 anni. E mi domando come mai persone come Borsellino e Falcone riescano in questo miracolo. Mi rispondo che hanno avuto dal Padreterno un dono sublime grazie al quale il loro straordinario carisma comunica anche attraverso foto, filmati e racconti».
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