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Questo articolo è stato pubblicato il 21 luglio 2013 alle ore 08:51.

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ROMA - Il «tagliando» al Governo, invocato da Guglielmo Epifani manda su tutte le furie il Pdl. L'ipotesi di una verifica a settembre per garantire un esecutivo «più forte e autorevole» è per Silvio Berlusconi e il suo partito solo uno stratagemma per far uscire di scena Angelino Alfano. L'ipotesi del rimpasto autunnale era più volte emersa in questi giorni nei capannelli dei parlamentari democratici che di malavoglia, come dimostrano gli interventi al Senato, hanno votato contro la sfiducia al ministro dell'interno.
Enrico Letta però non vuole nuovi grattacapi. Il premier, che per la difesa del titolare del Viminale si è esposto personalmente e che ritiene il mancato voto di sfiducia anche una sua vittoria, manda a dire che il Governo ora si concentrerà sulle cose da fare, sul programma, non certo sulle poltrone. E tanto perché non ci siano ulteriori libere interpretazioni, dà mandato a Dario Franceschini di indicare la linea dell'esecutivo: «Non c'è alcun rimpasto all'orizzonte» sentenzia la nota vergata dal ministro dei Rapporti con il Parlamento. Quanto all'esigenza di «rafforzare il Governo» espressa da Epifani, aggiunge: «Questo lo vogliamo soprattutto noi che ne facciamo parte ma l'obiettivo si raggiunge lavorando sui punti programmatici che Governo e maggioranza insieme si sono dati, a cominciare dalla conversione dei sei decreti legge già in Parlamento e dalle norme in preparazione su Imu, Iva, ammortizzatori sociali e esodati».

Una linea che però mal si concilia con i mal di pancia in casa Pd, confermati dal duro intervento del capogruppo Zanda nei confronti del ministro dell'Interno. Gli strascichi provocati dalla mancata sfiducia ad Alfano, le divisioni interne, che in alcuni casi sono state manifestate anche con un voto diverso da quello deciso dal gruppo, restano ferite aperte che potrebbero riacutizzarsi ancor di più mercoledì in occasione dell'assemblea dei parlamentari democratici. Lo sa anche il premier, che però non intende arretrare e che parteciperà anche per questo alla riunione (stessa disponibilità Letta l'ha data anche agli altri gruppi parlamentari qualora lo richiedessero). Il punto dirimente è che per molti democratici (a partire da Matteo Renzi) l'appoggio incondizionato al Governo rischia di essere un favore a Berlusconi. Lo sa anche il Cavaliere che proprio per questo però non è intenzionato a cedere neppure di un millimetro al pressing dei democratici.

L'ex premier, pressato dai suoi problemi giudiziari, ha trovato nella difesa del Governo il modo per spostare l'attenzione sulle divisioni del Pd. Lo confermano anche gli interventi dei principali esponenti del partito che, differentemente da qualche settimana fa, usano toni assai più confidenti nei confronti dell'esecutivo. «Altro che rimpasto, occorre un patto di legislatura», rilancia Renato Brunetta che dopo aver riepilogato le sfide di fronte al Governo e alla maggioranza, punta a rafforzare la grande coalizione ribadendo la tesi berlusconiana della «pacificazione». Una linea che viene sposata da tutto lo stato maggiore del Pdl. Almeno per ora. «Epifani dice che serve un Governo più autorevole e forte? Bene – attacca Maurizio Gasparri – lo dica ai suoi compagni di partito che non perdono occasione per mostrarsi in totale disaccordo e anticipare a mezzo stampa o in Parlamento il congresso del Pd». Se si tratta solo di tattica o di una reale scelta strategica si vedrà a breve. Berlusconi finora è riuscito a tenere distinta la partita giudiziaria da quella di governo. Ma i dubbi sulla effettiva volontà di mantenere il doppio binario restano molti.

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