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Questo articolo è stato pubblicato il 26 luglio 2013 alle ore 06:44.

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CITTÀ DEL VATICANO
«Santo padre Francesco, io non ho mai riciclato denaro sporco, non ho mai rubato, ho cercato di aiutare chi chiedeva aiuto». Monsignor Nunzio Scarano così si difende in una missiva inviata direttamente al Papa dal carcere di Regina Coeli il 20 luglio scorso. «La documentazione in mio possesso è prova della mia onestà e delle battaglie contro l'abuso dei miei superiori laici, coperti da alcuni cardinali» prosegue Scarano. Parlando dei cardinali li definisce come «i famosi scheletri degli armadi, ben ricattati, usati e gestiti dai miei superiori laici». Il prelato - agli arresti dallo scorso 28 giugno - collabora con i magistrati inquirenti della Procura di Roma e sta facendo nomi di funzionari dello Ior e dell'Apsa coinvolti a suo dire in presunte attività illecite. Avrebbe anche rivelato di aver riferito al Segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone, sulle anomalie da lui riscontrate e fatto il nome anche di Paolo Mennini, alto dirigente dell'Apsa.
«Chiesi aiuto al Cardinale Stanislao Dziwisz, segretario personale di Giovanni Paolo II e udienza al cardinale Angelo Sodano (già segretario di stato di Wojtyla e oggi Decano del Sacro Collegio, ndr): io presso l'Apsa, Sezione straordinaria, ero l'unico prete e ben poco mi era consentito fare» afferma nella lettera al Papa, resa nota ieri, in cui il religioso aggiunge che pur avendo «chiesto udienza al cardinale Sodano l'astuto e furbo mons. Giorgio Stoppa, riuscì a non farmi ricevere e per giunta a punirmi, spostandomi in altro ufficio e facendomi continuamente controllare». «Perché?» si chiede il monsignore nella missiva dove precisa a Papa Francesco di avere «vissuto sempre con dignità il mio ministero sacerdotale, cercando di aiutare tutti coloro che chiedevano aiuto».
Il prelato si trova in carcere dal 28 giugno scorso nell'ambito dell'inchiesta sul fallito tentativo di rimpatrio di 20 milioni riconducibili agli imprenditori napoletani D'Amico. Monsignor Scarano, ex contabile all'Apsa (l'Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica, una sorta di dicastero del Tesoro) è sospeso dall'incarico da prima dell'arresto ed è indagato per i reati di truffa e riciclaggio.
Intanto ieri sono uscite nuove indiscrezioni - che saranno pubblicate oggi sull'Espresso - relative a monsignor Battista Ricca, il "prelato" dello Ior nominato nell'incarico il 15 giugno scorso. In Uruguay «almeno cinque vescovi che furono testimoni diretti dello scandalo» di monsignor Ricca «sono pronti a riferire» scrive l'Espresso che ha già dedicato un'inchiesta sui trascorsi del prelato.
Nel frattempo - secondo la Reuter's - Italia e Vaticano sarebbero in procinto di raggiungere un accordo che consenta di avviare uno scambio di informazioni finanziarie tra i due Stati per combattere il riciclaggio di denaro. Si tratterebbe di un passo verso la normalizzazione dei rapporti bancari tra la Santa Sede e l'Italia, offuscati da scandali e inchieste. L'accordo dovrebbe avere la forma di un memorandum d'intesa tra il Financial Information Authority del Vaticano (AIF) e l'Unità di informazione finanziaria (UIF) della Banca d'Italia.
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