Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 26 luglio 2013 alle ore 06:42.

My24


Una raffica di proiettili ha falciato a Tunisi Mohamed Brahmi, deputato dell'assemblea costituente, ex segretario del Movimento popolare, figura importante dell'opposizione al partito islamico Ennahda. È stata quasi un'esecuzione come quella in febbraio di Choukri Belaid, leader del Fronte laico cui apparteneva anche Brahmi, un movimento che sente di avere con gli egiziani un nemico comune: i Fratelli Musulmani. Questo assassinio politico - condannato dal segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon - il secondo in pochi mesi, proietta un'altra ondata di instabilità in Tunisia dove l'omicidio Belaid aveva innescato manifestazioni imponenti costringendo alle dimissioni il primo ministro Hamadi Jebali.
Dopo gli eventi in Egitto, la destabilizzazione crescente sulla sponda Sud potrebbe assumere aspetti nuovi e inaspettati anche in Tunisia dove peraltro i militari - che si erano rifiutati di difendere Ben Ali costringendolo alla fuga il 14 gennaio 2011 - sono rimasti ai margini del potere mentre l'ordine pubblico è in mano alla polizia (che ieri in serata ha lanciato lacrimogeni contro i manifestanti davanti al ministero dell'Interno), più numerosa e agguerrita dell'esercito, che ha un rapporto ambiguo e a volte contrastato con il governo di coalizione guidato da Ennahda.
In Tunisia - dove cominciò la primavera araba con la protesta di Mohammed Bouazizi che si diede fuoco il 17 dicembre 2010 - l'Islam politico, rappresentato da Rashid Ghannouchi, non si dimostra capace di frenare le frange estremiste, in particolare dei gruppi salafiti come Ansar el-Sharia e dei jihadisti, che hanno approfittato dell'instabilità nella vicina Libia per armarsi.
Ghannouchi, dopo l'omicidio Belaid, ci aveva ricevuto nel suo quartier generale di Montplaisir a Tunisi. Aveva voluto sorprenderci con una dichiarazione moderata, quasi da uomo d'ordine: «La sharia, la legge islamica, deve restare fuori dalla Costituzione, i salafiti sbagliano, ai jihadisti diamo la caccia senza tregua. Il salafismo è un modo rigido di interpretare l'Islam: è un atteggiamento sbagliato».
Ma lo stesso Ghannouchi ammetteva le difficoltà a controllare la situazione: «Alcuni gruppi jihadisti e legati ad al-Qaida vogliono imporre la loro visione con la violenza. Ce ne sono molti anche qui in Tunisia, legati a una rete internazionale. Hanno attaccato gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, sono in azione in Mali. Nelle liste di chi volevano colpire, oltre a Belaid c'era il nome dell'attuale premier, Ali Laarayedh, e il mio. Sono quelli che hanno dato l'assalto all'ambasciata Usa di Tunisi: li stiamo combattendo».
In realtà Ghannouchi non ha fatto abbastanza per dare credibilità alle sue dichiarazioni: un gruppo di salafiti è stato arrestato per l'assassinio di Belaid ma il principale indiziato non è stato catturato e i mandanti restano ignoti.
I laici continuano a considerare Ghannouchi un pericoloso radicale dal doppio linguaggio, il responsabile morale della morte di Belaid e ora di quella di Brahmi. Nelle piazze e in Avenue Bourghiba a Tunisi si susseguono le manifestazioni contro il leader di Ennahda che aveva stravinto le elezioni nell'ottobre 2011 ma non ha saputo gestire né la crisi economica né la sicurezza.
Con l'eliminazione di Brahmi le prospettive diventano ancora più oscure. Ennhada insiste per varare una legge controversa definita «per la protezione della rivoluzione»: è una lista di proscrizione di uomini politici legati al vecchio regime mirata a far fuori dalla scena Caid Essebsi, leader del partito Nida Tounes in grande ascesa dai sondaggi. Essebsi, pimo ministro nel dopo Ben Ali, si era in realtà distinto per avere condotto la Tunisia alle sue prime libere elezioni: sulle prossime nessuno è pronto a scommetterci un dinaro.
Ma a chi interessa, in questa estate di crisi mediterranea, la deriva dei nostri "vicini distanti"? I ricchi arabi del Golfo pensano a salvare l'Egitto dei militari, la Siria travolta da una guerra civile con oltre 100mila morti ha i suoi interessati padrini internazionali, l'Iraq e la Libia contano sul petrolio, il Libano sopravvive pericolosamente in bilico tra sciiti e sunniti, ma alla povera Tunisia arrivano soltanto promesse e qualche volonteroso investimento italiano.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Shopping24

Dai nostri archivi