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Questo articolo è stato pubblicato il 27 luglio 2013 alle ore 08:19.

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ROMA
Il principio è «il decadimento della Banda della Magliana». Poi l'escalation di mafia e il "saccheggio" di Roma Capitale e provincia, in cui «la fiera della sopraffazione» e «la vittoria dell'affermazione violenta» disegnano un «contesto intriso di mafiosità».
Sono le conclusioni del gip capitolino Simonetta d'Alessandro, che ieri ha accolto le richieste d'arresto del procuratore capo Giuseppe Pignatone e del sostituto Ilaria Calò. Le indagini sono della Squadra mobile, al comando di Renato Cortese. In manette sono finiti 51 affiliati ai clan Triassi, legato a Cosa Nostra (clan Cuntrera, definiti i "banchieri" della mafia) e ai sempre più imponenti Fasciani di Ostia. Le accuse sono di associazione mafiosa, estorsione, usura, traffico internazionale di stupefacenti dalla Spagna, infiltrazione nel tessuto amministrativo e corruzione. Due potenti organizzazioni che si sono spartite gli interessi illeciti, affondando le radici nei rapporti con ex esponenti della Banda della Magliana, ex militanti dell'organizzazione terroristica di estrema destra Nar e «con soggetti inseriti nel contesto politico-istituzionale». Un'egemonia indiscussa, basata anche sul più allarmante «inquinamento della borghesia romana», come la descrive il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, principale teste nel processo sulla trattativa Stato-mafia. Racconta di quando «reggente della famiglia mafiosa di Brancaccio», si era recato nel 1995 a «Roma con un significativo mandato, quello di espletare l'attacco contro i collaboratori di giustizia». Nella Capitale scopre di «aver avuto a che fare con ambienti apparentemente estranei a Cosa Nostra e invece con essa correlati simbioticamente per la gestione degli investimenti». «La cosa che ho notato – racconta – che rispetto alla mafia siciliana, a Roma hanno tutta un'altra mentalità, non si vogliono sporcare le mani. Il romano cerca di farsi proteggere le spalle, agire in seconda fila e però investire per avere più proventi possibili». Quindi, «cerca di non apparire ed esporsi… hanno bisogno di questa manovalanza criminale per portare avanti i loro interessi, gli investimenti».
Queste le basi sulle quali si sono sviluppati i due clan finiti nell'inchiesta. Per il gip si tratta di «una mafia che è in primis economica e poi ideologica», che ha «smantellato qualunque sistema di trasparente gestione degli assetti economici, per inserire la distonica sopraffazione del privilegio ingiustificato». Una mafia che arriva a «gestire l'aggiudicazione delle case di proprietà dell'Ensarco - Ente di assistenza per i rappresentanti di commercio - guidato dal ministero del Lavoro e dal Ministero dell'Economia e Finanze».
Ma come nasce la spartizione di Roma? È il collaboratore Sebastiano Cassia a raccontarlo. A monte c'è un attentato al boss Vincenzo Triassi. Segue un summit tra il 2010 e il 2011 in una sala giochi Snai: «I Triassi sono stati estromessi dagli interessi criminali di Ostia attualmente in mano ai Fasciani e agli Spada che gestiscono i chioschetti dei lidi e anche alcuni appalti. Questo stato delle cose è stato stabilito in una riunione alla quale hanno partecipato Triassi, Vincenzo Fasciani, un siciliano detto zio Ciccio D'Agata e uno degli Spada. Ai Triassi è rimasto soltanto il traffico di armi» a Roma. Così, si raggiunge la pax mafiosa e la Capitale finisce nella rete criminale.
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