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Questo articolo è stato pubblicato il 30 luglio 2013 alle ore 08:29.

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A poche ore dall'inizio dell'udienza in Cassazione sul processo Mediaset, una sola cosa è certa: se anche vi fosse un rinvio, non andrebbe oltre il 15 settembre e, soprattutto, non produrrebbe l'effetto di cambiare il collegio della Sezione feriale. Al Palazzaccio ricordano infatti che «esistono regole precise»: una volta incardinato un processo di fronte a un collegio, questo resta fermo nella sua composizione anche in caso di rinvio dell'udienza, poiché sarebbe insensato, e contrario al principio di «economia processuale», far studiare le carte ex novo ad altri giudici. Tanto più che il rinvio non potrebbe andare oltre il 15 settembre neppure qualora calcoli più ponderati della prescrizione ne collocassero la scadenza al 31 ottobre: comunque si rientrerebbe nel periodo feriale, in cui si concentrano i processi con prescrizione che scade entro il 15 settembre o «nei 45 giorni successivi». Quindi anche il processo Mediaset.

«Regole» che la difesa di Silvio Berlusconi – condannato in primo e secondo grado per due frodi fiscali (una del 2002 e l'altra del 2003) a 4 anni di carcere (di cui 3 indultati) e a 5 di interdizione dai pubblici uffici – conosce bene, in particolare il professor Franco Coppi che affianca Niccolò Ghedini anche per la sua lunga esperienza di cassazionista. Pertanto, il rinvio non consentirebbe a Berlusconi di cambiare collegio (se questa è la sua strategia) né di fargli guadagnare più di un mese e mezzo. Stando così le cose - e visto che due legali del calibro di Coppi e Ghedini non hanno certo bisogno di un mese per approfondire la difesa di un processo che conoscono perfettamente - un'eventuale richiesta di rinvio sarebbe dettata verosimilmente da motivazioni politiche, valutate in sede politica (non solo in casa Pdl, ma di tutto il governo). Motivazioni di cui la Corte, però, non può tener conto.

Se il rinvio non verrà né chiesto né disposto dalla Corte, stamattina l'udienza si aprirà con la relazione del giudice Amedeo Franco, l'unico dei cinque componenti del collegio «feriale» proveniente dalla III sezione, quella che normalmente si occupa dei reati fiscali. Poi sarà la volta della Procura generale della Cassazione, rappresentata da Antonello Mura, che al termine della requisitoria formulerà le sue richieste: sarà il primo banco di prova della difesa per verificare se e in che limiti il ricorso ha fatto breccia in Cassazione. A seguire parleranno gli avvocati degli imputati (sono almeno 8) e poi la Corte si ritirerà in camera di consiglio. Difficile prevedere quando ne uscirà: dipende dal tempo utilizzato dai difensori ma anche da quello necessario per discutere gli altri processi previsti nella stessa udienza. Il verdetto, quindi, potrebbe arrivare o in tarda serata oppure domani.

In Cassazione si percepisce una certa agitazione per questo appuntamento, sia per le sue delicate implicazioni politiche e istituzionali sia per la «complessità» del processo e per la «serietà» delle questioni tecniche da affrontare. Tanto più che il collegio è formato da cinque giudici che non si conoscono o si conoscono appena e che, ad eccezione del relatore, non sono esperti della materia (due giudici, ad esempio, provengono dal civile). Il che aumenta il peso della responsabilità della decisione, che grava anzitutto sul relatore, anche se sarà collegiale.

Gli scenari possibili sono tre: conferma secca o, al contrario, annullamento secco della condanna; annullamento con rinvio. Assolutamente impossibile fare previsioni o avere indiscrezioni. Neppure sulle conclusioni del Pg. Certo è che Berlusconi fa affidamento sulla giurisprudenza della III sezione penale, molto ferma nel ritenere che la frode fiscale è un «reato proprio», e che solo in via eccezionale un terzo estraneo può concorrere nel reato. Con questa lente verrà quindi letta la motivazione dei giudici di merito, secondo cui le due frodi fiscali (le uniche sopravvissute ad altre morte per prescrizione) furono determinate proprio perché Berlusconi indusse in errore l'autore delle dichiarazioni dei redditi, e quindi, in base all'articolo 48 del Codice penale, ne risponde penalmente. La difesa obietta, però, che Berlusconi non faceva parte di alcun organo amministrativo e non aveva firmato le dichiarazioni dei redditi, per cui non può rispondere di un «reato proprio» il cui autore formale non è imputato.

La Corte dovrà verificare se la motivazione dei giudici di appello "tiene" rispetto al contributo dato da Berlusconi nella falsificazione della dichiarazione; se la considerasse insufficiente o contraddittoria potrebbe annullare la condanna e rinviare a una nuova sezione della Corte d'appello per un nuovo giudizio. I tempi per una sentenza definitiva, però, si allungherebbero e una delle due frodi (quella del 2002, la più grave) cadrebbe in prescrizione mentre per l'altra ci sarebbe tempo fino a giugno 2014. Tuttavia, caduto uno dei due reati, la pena dovrebbe essere rideterminata al ribasso e, se scendesse sotto i tre anni, non solo sarebbe interamente condonata dall'indulto, ma non farebbe più scattare l'interdizione dai pubblici uffici.

Stesso epilogo se la Cassazione accogliesse un altro motivo di ricorso della difesa, e cioè che il reato va riqualificato come «dichiarazione infedele», punito da 1 a 3 anni: ferma restando la responsabilità penale di Berlusconi, la pena andrebbe rideterminata o direttamente dalla Cassazione o, più probabilmente, dalla Corte d'appello, con effetti sulla prescrizione e sull'interdizione dai pubblici uffici.

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