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Questo articolo è stato pubblicato il 01 agosto 2013 alle ore 09:10.

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Berlusconi, oggi sentenza Cassazione. Ghedini: non c'è reato - La sentenza e gli alibi - Foto

La sentenza della Corte d'appello di Milano di condanna a Silvio Berlusconi per frode fiscale da 7,3 milioni di euro «muove da un pregiudizio», che vuole l'ex premier ideatore di un «meccanismo truffaldino» ideato negli anni 80 per ingannare il Fisco, di cui sarebbe il principale responsabile in base alla logica del «cui prodest? A chi doveva giovare se non a Berlusconi?». A dirlo, dopo circa un'ora d'arringa, è il professor Franco Coppi, principe del Foro che ieri pomeriggio ha chiuso la lunga giornata della difesa davanti alla Sezione feriale della Cassazione, chiamata a stabilire la legittimità o meno della condanna a 5 anni di reclusione e 4 di interdizione dai pubblici uffici del Cavaliere per fatti commessi nel 2002-2003.

Per Coppi, il copione non è nuovo, ma nel caso specifico i giudici di Milano sono caduti in «clamorosi travisamenti della prova», che giustificano la richiesta della difesa: annullare la sentenza impugnata e assolvere il Cavaliere «perché il fatto non è previsto dalla legge come reato». In subordine, Coppi chiede l'annullamento della sentenza con rinvio ad altro giudice, previa riqualificazione del reato da frode fiscale a quella di dichiarazione infedele prevista dall'articolo 4 Dlgs 74/2000. Che disciplina i reati in materia di imposte sui redditi e punisce la fattispecie con la reclusione da uno a tre anni, pena più bassa rispetto a quello di frode fiscale e quindi termini di prescrizione ridotti.

L'«altro giudice», specifica il difensore rivolto al collegio presieduto da Antonio Esposito, dovrebbe «valutare se nel caso in esame siano state superate o meno le soglie di punibilità». Richiesta che, se accolta, avrebbe conseguenze sulla pena politicamente più delicata dell'interdizione dai pubblici uffici, che non scatterebbe, così come previsto dall'articolo 12 del Dlgs 74 in caso di dichiarazione infedele.

Cuore delle tesi esposte da Coppi per chiedere l'annullamento in toto della sentenza di II grado (offerte ai giudici con la consapevolezza di essere ascoltato per così dire "da pari a pari", principe del Foro davanti ai principi del Diritto), verte sul fatto che i fatti accertati dalla sentenza di II grado non sono da considerare operazioni fittizie, messe in piedi da società inesistenti, ma transazioni reali sui diritti tv promosse da società "vere". Per ottenere, tramite un abuso del diritto, forse «un effetto distorto di frode fiscale», ma senza contrasto con misure antielusive, quindi senza rilevanza penale o rilevante solo sotto il profilo tributario.

La richiesta di Coppi arriva al termine di un'arringa sottile e ben esposta, tutta «in punta di diritto», rivolta al Collegio con la rispettosa confidenza del navigato cassazionista, almeno quanto l'intervento che lo ha preceduto dell'altro legale del premier, Niccolò Ghedini, ha toni più aggressivi e caustici. Compito di Ghedini è infatti quello di distruggere le argomentazioni della requisitoria di Antonello Mura, citato continuamente con venatura ironica come il «signor Procuratore generale». Al processo d'appello, spiega Ghedini, «manca l'elemento probatorio che possa dire che Berlusconi ha partecipato al reato proprio» delle false fatturazioni. E ironizza sul Pg convinto che Berlusconi "non poteva non avvedersene", evoluzione del "non poteva non sapere", nuovo principio giurisprudenziale sui prezzi gonfiati».

La giornata, iniziata con gli interventi dei difensori degli altri coimputati, Frank Agrama, Gabriella Galetto e Daniele Lorenzano, si chiude con il presidente Esposito che rinvia l'inizio della camera di consiglio ad oggi - «1 agosto 2014» - subito corretto in 2013, dice suscitando risate in aula - a mezzogiorno. Che sarà davvero di fuoco, per il clima e per le attese della politica. Il verdetto dovrebbe uscire dopo le 17,00, a mercati chiusi.

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