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Questo articolo è stato pubblicato il 02 agosto 2013 alle ore 06:40.

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ROMA
Fossimo in America, potremmo dire: ha vinto la pubblica accusa e ha perso Silvio Berlusconi. Ma nel terzo grado di giudizio del processo sui diritti tv Mediaset le argomentazioni «in punta di diritto» del principe del Foro, Franco Coppi, non sono servite al Cavaliere: «rigettato» su tutta la linea dalla Cassazione il ricorso per salvare il leader del centrodestra dalla condanna definitiva a 4 anni di reclusione (tre condonati) per una frode fiscale da 7,3 milioni di euro degli anni 2002-2003 (per i due anni precedenti il reato è già prescritto). La sentenza, che mette un interrogativo pesante sul futuro politico di Berlusconi è ormai irrevocabile. Rigettati in toto anche i ricorsi dei tre coimputati: il produttore Frank Agrama (3 anni) e i manager Mediaset, Gabriella Galetto (1 anno e 2 mesi) e Daniele Lorenzano (3 anni e 8 mesi, 5 di interdizione dai pubblici uffici). Anche per loro, condanne irrevocabili.
Ed è in pratica una vittoria del Pg della Suprema Corte, Antonio Mura, anche l'unico aspetto da riformare della sentenza di ottobre dalla Corte d'appello di Milano: la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per Berlusconi, fissata in 5 anni dai giudici del merito. Per la sezione penale feriale della Cassazione, sul punto la sentenza di II grado dovrà essere trasmessa ad altra sezione della Corte d'appello «perché ridetermini la pena accessoria». Ci sarà dunque un processo d'appello bis per il Cavaliere, ma limitato alla rideterminazione al ribasso della pena accessoria nella "forbice" da 1 a 3 anni. Nella sua requisitoria, martedì scorso, il Pg Mura aveva sollecitato la conferma della condanna per tutti gli imputati, e la riduzione, che a suo parere poteva essere effettuata già dalla Cassazione, del periodo di interdizione di Berlusconi da 5 a 3 anni.
Il presidente della sezione, Antonio Esposito, pone fine alle 19.41 della sera a tre giorni di sfibrante attesa che hanno tenuto in sospeso i media di tutto il mondo e minato la tenuta di governo e partiti, nell'aula Brancaccio al secondo piano del Palazzaccio assediato da tv e stampa. Davanti a sé, compassati, in toga e pettorina, ha molti difensori dei ricorrenti, ma non le "star" di questo processo, Ghedini e Coppi. Che preferiscono non farsi vedere, ma a cose fatte parlano di «sgomento» per la decisione della Corte e annunciano «ogni iniziativa utile anche nelle sedi europee per far si che questa ingiusta sentenza sia radicalmente riformata».
Nel caldo asfissiante, Esposito legge con qualche incertezza, alle decine di giornalisti assiepati sulle tribunette e in aula le 17 righe del dispositivo che cambierà molte cose. E gela gli assistenti di studio di Coppi, che forse speravano nel miracolo. Inutile dunque l'appassionata arringa di due giorni fa del professore per convincere il collegio che alla base del processo non c'era una frode ma un'evasione fiscale per abuso di diritto, l'utilizzo "al limite" di norme fiscale per evadere il fisco. Da qui la richiesta di annullamento della condanna perché il fatto «in mancanza di violazione di specifica norma antielusiva» non costituisce reato. O, in subordine, l'annullamento della sentenza con rinvio ad altro giudice e derubricazione del reato da frode a «infedele dichiarazione dei redditi». Una riqualificazione che, se accolta, avrebbe eliminato le pene accessorie (non previste per la dichiarazione infedele) e avrebbe confermato la prescrizione del reato a settembre.
Non è andata così. Questa volta, la prescrizione alle porte è un rischio superato. E la distanza della decisione dalla richieste di Coppi conferma la secca sconfitta del Cavaliere. La condanna definitiva per frode fiscale che chiude il processo, l'«incubo ricorrente» di Ghedini, è in teoria, immediatamente eseguibile, perché con la lettura del dispositivo (le motivazioni arriveranno a ottobre) si è «formato il giudicato» sulla responsabilità dell'imputato Berlusconi e l'entità della pena principale. Già oggi quindi la Procura milanese potrebbe disporre l'ordine di carcerazione, ma essendo la pena reale da scontare solo di 1 anno, questa viene solitamente sospesa per dare modo al condannato di optare tra le messa in prova ai servizi sociali (improbabile) e gli arresti domiciliari.
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