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Questo articolo è stato pubblicato il 02 agosto 2013 alle ore 12:41.

di Vittorio Nuti
Di nuovo sulla scena la riforma della Giustizia. È un effetto della sentenza di Cassazione che ieri ha condannato definitivamente Silvio Berlusconi per frode fiscale. Il tema è stato infatti al centro del videomessaggio con cui, a caldo, il leader del Pdl ha (ri)annunciato il ritorno a Forza Italia «per fare le riforme, a partire dalla più importante che é la giustizia», ma è tornato anche nelle parole con cui il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in anticipo sulla lettura della sentenza Mediaset, ha auspicato in una nota «che possano ora aprirsi condizioni più favorevoli per l'esame, in Parlamento, dei problemi relativi all'amministrazione della giustizia».
La "road map" indicata dai "saggi" di Napolitano
Una traccia per procedere, ricorda Napolitano c'è già: «La relazione del gruppo di lavoro (i cosiddetti "saggi", ndr) da me istituito il 30 marzo scorso». Il riferimento, in particolare, è alla relazione conclusiva del gruppo di lavoro, composto da Mario Mauro, Valerio Onida, Gaetano Quagliariello e Luciano Violante, voluto dal Quirinale per mettere nero su bianco una serie di proposte di riforma per rinnovare le istituzioni, toccando anche il ruolo della magistratura e il riassetto del nostro sistema giudiziario.
Pd costretto al confronto sui temi "caldi"
Finora esclusa con forza dal Pd dagli obiettivi del Governo delle "larghe intese" - per non fare assist pericolosi al centrodestra ed evitare la rivolta degli elettori piddini - e soprattutto da quelli del futuro Comitato parlamentare per le riforme costituzionali, la riforma della Giustizia prospettata da Napolitano ha dunque delle precise linee guida, con cui il Pd, volente o nolente, nei prossimi mesi dovrà confrontarsi, abbandonando l'idea di poter portare avanti solo interventi sulla giustizia "a bassa intensità", come il ripristino della mediazione obbligatoria o l'istituzione dei giudici ausiliari per lo smaltimento dell'arretrato contenuto nel "decreto Fare", o privilegiando solo provvedimenti per contrastare l'emergenza carceraria.
Le (solite) priorità per modernizzare la giustizia
Ma che cosa propongono esattamente i "saggi" di Napolitano? In poco più di quattro pagine ritornano molti dei macro obiettivi di riforma che hanno animato più di vent'anni di convegni, dibattiti e scontri parlamentari: dal rispetto della ragionevole durata dei processi alla riduzione dell'«ipertrofia del contenzioso», alla maggiore efficacia della prevenzione» dei fenomeno corruzione e criminalità organizzata, al perfezionamento della tutela dei diritti fondamentali e il contenimento dei contrasti tra diversi organi giudiziari. Poiché molte delle proposte di riforma per la giustizia civile (riduzione del sovraffollamento carcerario, istituzione di sistemi alternativi di soluzione delle controversie, ampliamento delle funzioni della magistratura onoraria, istituzione dell'ufficio del processo) sono già state messe in campo dal Governo Letta, possiamo concentraci sui suggerimenti per l'ordinamento giudiziario e le giustizia penale, i fronti politicamente più delicati.
Giustizia penale, interventi su intercettazioni e appellabilità delle sentenze
In concreto, per la giustizia penale, le proposte spaziano dal contenimento della durata delle indagini preliminari alla ridefinizione dei presupposti in base ai quali le Procure avviano le indagini «con particolare attenzione per gli strumenti investigativi piu' invasivi», come le intercettazioni, per le quali dovrebbe essere chiarito l'utilizzo come mezzo di prova e non come strumento di ricerca del reato. Tra le righe, anche una revisione del regime della prescrizione dei reati (proposta da Onida in una nota a piè di pagina) pur nell'ambito di «misure dirette a disincentivare l'esperimento di rimedi palesemente ed esclusivamente dilatori» nei processi. Proposte che, sulla carta, non dispiacciano al centrodestra, così come l'inappellabilità delle sentenze di assoluzione (per quanto limitata a reati molto lievi).
Ordinamento, nervo scoperto del rapporto toghe-politica
Stesso discorso si può dire per l'ordinamento delle magistrature, che propone innanzitutto un riassetto della responsabilità disciplinare dei magistrati. Data «l'inopportunità, per istituzioni così influenti, del solo "giudizio disciplinare dei pari"», i "saggi propongono un giudizio di primo grado affidati agli organi di autogoverno delle toghe (il Csm) e in secondo grado a una corte con componenti eletti per un terzo dai magistrati, per un terzo dal Parlamento e per un terzo indicati dal Quirinale. Non solo. I "saggi" suggeriscono anche di «rendere effettive le regole e i codici deontologici che vietano al magistrato un uso improprio e personalistico dei mezzi di comunicazione», di vietare in ogni caso alle toghe la possibilità di candidarsi dove abbia esercitato le sue funzioni, e di ridimensionare sia il numero complessivo delle toghe fuori ruolo sia la durata massima degli incarichi di questo tipo. In pratica, si andrebbero a toccare tre nervi scoperti del rapporto tra politica e magistrati: la giustizia disciplinare, gli incarichi fuori ruolo, il rapporto con i media e le candidature politiche. Abbastanza per dire che la sentenza Mediaset ha portato con sé anche un'inedita convergenza tra il Colle e il centrodestra sulle priorità della Giustizia.
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