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Questo articolo è stato pubblicato il 06 agosto 2013 alle ore 06:43.

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LONDRA. Dal nostro corrispondente
Più che il "labour hoarding" probabilmente poté il "labour zero". Un survey spiega, in parte, l'arcano di un'economia in recessione che crea lavoro, sfidando economisti e sociologi britannici dove il fenomeno s'avverte da tempo, in evidente controtendenza rispetto al trend euromediterraneo. La ricerca, firmata dal Chartered Institute of Personnel and Development (Cipd), smentisce l'ufficio nazionale di statistica e indica che i lavoratori con "contratti a zero ore" sono quattro volte in più di quanto calcolato, ovvero almeno un milione, il 3,5% della manodopera totale.
Basta questo per spiegare la capacità di creare occupazione che l'economia del regno di Elisabetta ha messo in campo? Lo giustifica in parte, ma soprattutto potrebbe spiegare il cosiddetto "labour hoarding", quel fenomeno che vede le imprese in crisi evitare i licenziamenti e trattenere i dipendenti, a condizioni economiche ridotte in attesa di tempi migliori. È evidentemente più semplice mantenere personale a zero ore, piuttosto che dipendenti con impieghi tradizionali. La statistica è, in ogni caso, ritoccata perché il contratto a zero ore appare come full employment.
Per capire a che punto sia arrivata la flessibilità del lavoro in Gran Bretagna è utile esaminare come sono strutturati i "zero hours". Si tratta di impieghi che non garantiscono un minimo di lavoro, ma sono dettati solo dalla domanda. In altre parole il lavoratore attende di essere chiamato per impegni di qualche giorno o di qualche settimana, seguiti da pause variabilmente lunghe per poi, magari, ritornare al lavoro sull'onda di nuove richieste. Contratti che non prevedono copertura in caso di malattia, anche se le norme europee sul lavoro impongono il riconoscimento delle ferie. In un'intervista a Radio 4 della Bbc un'assistente sociale ha detto di aver accettato il contratto e di aver poi atteso «sperando in bene, perché tutto può cambiare radicalmente: cominci una settimana con l'idea di essere impegnata 40 ore e la finisci scoprendo di averne fatte una dozzina».
Precarietà totale, dunque. Apprezzata sia dal privato, ma soprattutto dal settore pubblico - Buckingham Palace incluso - che ne fa largo uso per rimpiazzare, probabilmente, le posizioni chiuse in nome della spending review. Precarietà che parrebbe non essere del tutto disprezzata neppure dai lavoratori, per quanto paradossale possa sembrare. Il survey, infatti, suggerisce che solo il 14% del milione di persone che si presume siano impiegate a queste condizioni sostiene di voler lavorare di più. Il mantra della flessibilità dominante nel Regno, da Margaret Thatcher in poi, ha davvero mutato i comportamenti sociali verso l'occupazione? Soprattutto, contestano i sindacati, a favore del datore di lavoro: «La realtà è che i dipendenti non hanno alternativa: si devono accontentare». È il caso di quelli di Sports Direct, colosso del retail sportivo che impiega 20mila persone, la quasi totalità, a "zero ore". Situazione inaccettabile per le Unions, tanto da aver indotto il Governo ad agire. Una review è in corso, ma le statistiche continuano a premiare la performance di Londra.
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COSÌ IN ITALIA
Lavoro a chiamata
Il contratto di lavoro intermittente, o "a chiamata", tipico del diritto anglosassone, è stato introdotto nell'ordinamento italiano nel 2003. Può essere a tempo indeterminato o a termine: è un contratto con cui il lavoratore si mette a disposizione del datore di lavoro, che ne utilizza la prestazione solo all'occorrenza
Discontinuità
La prestazione lavorativa deve essere intervallata da una o più interruzioni, in modo che non vi sia esatta coincidenza tra durata del contratto di lavoro e durata della prestazione lavorativa
I vincoli
In Italia è vietata l'assunzione di lavoratori intermittenti per sostituire lavoratori in sciopero o coinvolti da una procedura di licenziamento collettivo. Il contratto deve chiarire il trattamento economico e normativo spettante al lavoratore (compresa l'eventuale indennità di disponibilità), le forme e le modalità con cui il datore di lavoro può richiedere l'esecuzione della prestazione
Retribuzione
Il lavoratore intermittente ha diritto alla retribuzione per il lavoro effettivamente prestato, in misura pari a quella percepita dal lavoratore di pari livello che svolga analoghe mansioni. Negli altri periodi non è titolare di alcun diritto riconosciuto ai lavoratori subordinati, e non matura alcun trattamento economico e normativo. Un'eccezione riguarda i casi in cui il lavoratore intermittente si impegnasse a restare a piena disposizione del datore di lavoro, obbligandosi a rispondere all'eventuale chiamata

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