Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 07 agosto 2013 alle ore 06:44.

My24


Perché al-Qaeda è ancora una minaccia, 25 anni dopo la sua fondazione a Peshawar nell'88 e a 12 anni dall'11 settembre? Nonostante l'uccisione di Osama bin Laden nel maggio 2011 ad Abbottabad e l'eliminazione del 75% dei capi in Afghanistan e Pakistan con la guerra dei droni, al-Qaeda sembra rinascere ogni volta come una metastasi sempre più estesa che ha spostato il centro di gravità nella penisola arabica e in Nordafrica.
È attivissima con gli attentati in Iraq nella guerra civile tra sciiti e sunniti, in Siria, in Yemen, in Libia, in Mali e ora anche in Tunisia - pericolosa novità - senza contare i gruppi affiliati come gli Shabab somali, i Boko Haram nigeriani, i jihadisti del Sinai.
La lista del terrore e della guerriglia islamica è lunga, a volte sorprendente. In ufficio alle spalle dell'Hotel Hilton al Cairo Abdel Fattah Nabil Naimi gestisce una delle sue attività: un'agenzia di viaggi per la Mecca e nei Territori palestinesi. Naimi è il fondatore della Jihad islamica in Egitto, l'organizzatore dell'assassinio di Sadat nell'81, ha combattuto in Afghanistan e Yemen: un amico di vecchia data di Ayman al-Zawahiri, il medico egiziano successore di Osama, con cui intrattiene ancora un'interessante corrispondenza. «Molte cose ci hanno unito, ora altre ci dividono: ho scritto ad Ayman che inviare guerriglieri contro Assad è un errore, frantumerà ulteriormente il mondo musulmano e lo renderà ancora più vulnerabile ai progetti di Stati Uniti e Israele».
La Siria è uno dei campi di battaglia di al-Qaeda, che tenta di monopolizzare la lotta dei ribelli e saldarla a quella dei sunniti iracheni. «È paradossale - sottolinea il corpulento e barbuto Naimi - che mentre gli Stati Uniti combattono ovunque al-Qaeda, in Siria vogliano abbattere un regime che lotta contro il loro peggiore nemico».
Il gesuita Paolo Dall'Oglio, secondo quanto affermato ieri dal ministro degli Esteri Emma Bonino, è stato sequestrato dall'organizzazione "Stato islamico dell'Iraq e del Levante", presentata dal suo capo, Abu Bakr al-Baghdadi, come un movimento unitario con i siriani del Fronte Jabat al-Nusra. Al-Baghdadi ha dichiarato che il suo gruppo iracheno - collegato ad al-Qaeda - ha addestrato e finanziato i combattenti di al-Nusra fin dall'inizio della rivolta siriana, due anni fa.
Ma dov'era l'intelligence americana e occidentale quando gli arabi e la Turchia puntavano ad abbattere Assad in pochi mesi con un'operazione dai contorni spericolati? Anche se al-Qaeda è assai meno letale che in passato il suo ramo propaganda al-Sahab (Le Nuvole) si dimostra ancora efficace nel reclutamento di potenziali sostenitori, decisamente abile a presentare sul web la guerra dei droni come attacchi indiscriminati contro i musulmani. Eppure sono proprio i musulmani a costituire l'85% delle vittime di al-Qaeda e degli affiliati: una galassia con opinioni diverse su strategie e tattiche, compresa l'annosa questione se sia accettabile o meno uccidere musulmani innocenti con attacchi suicidi.
Gli Stati Uniti oggi combattono un nemico non meno sfuggente che in passato, disperso su un territorio vastissimo, dal Mediterraneo all'Asia centrale, dal Nordafrica alla penisola arabica; hanno ingaggiato guerre sanguinose e logoranti in Afghanistan e Iraq, investono miliardi dollari nei droni e in operazioni di intelligence ma non hanno ancora vinto la guerra al terrorismo. Non per inefficienza tecnologica ma perché è mancata la risposta politica sul terreno oppure è arrivata in ritardo, quando la fine dei dittatori ha seguito copioni improvvisati che ora sono già ingialliti nella contro-primavera araba.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Shopping24

Dai nostri archivi