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Questo articolo è stato pubblicato il 10 agosto 2013 alle ore 16:30.

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India, i due marò non rispondono agli investigatori ma aumentano i dubbi sulle accuse a loro carico

Le fonti ufficiali italiane (come al solito) tacciono ma secondo quanto riportato dal quotidiano indiano Hindustan Times questa mattina Salvatore Girone e Massimliano Latorre si sono rifiutati di rilasciare dichiarazioni alla Nia, la polizia federale indiana che su disposizioni della Corte Suprema indaga sull'incidente del 15 febbraio del 2012. «Abbiamo convocato i due marò accusati per mettere agli atti le loro dichiarazioni, ma si sono rifiutati di rispondere, pare in base alle indicazioni ricevute dai loro legali», ha detto una fonte della polizia indiana. Il silenzio delle autorità italiane rende difficile comprendere se il silenzio dei due militari sia da attribuire a una strategia difensiva o al fatto che Latorre e Girone hanno deciso di non riconoscere la legittimità delle autorità indiane nell'interrogarli e giudicarli.

«Vogliamo sapere che cosa ha spinto i marò a sparare», ha detto la fonte della Nia che ieri ha ascoltato Carlo Noviello, all'epoca vicecomandante della Enrica Lexie, che ha riaperto tutti i dubbi che minano il castello di "prove " costruito dall'accusa, prima quella dello Stato del Kerala e ora quella della polizia federale.

«Sono sicurissimo che l'imbarcazione che ho visto dal ponte della nave non era il peschereccio St. Antony», ha detto agli inquirenti Carlo Noviello ribadendo quanto aveva già più volte sostenuto e di fatto rafforzando l'ipotesi che i due pescatori siano stato uccisi in altre circostanze, forse in uno scontro con guardie armate di altri mercantili o con la guardia costiera dello Sri Lanka, che in molti casi apre il fuoco contro i pescatori di tonni indiani che sconfinano. Del peschereccio «non corrispondono i colori rispetto a una foto mostratami dal Dipartimento indiano della Marina mercantile», ha spiegato Noviello all'Ansa aggiungendo «di non aver notato nessuna persona morta o ferita a bordo», della barca, quando è fuggita dopo l'incidente.

Dubbi già emersi dai risultati iniziali delle perizie balistiche, quando l'anatomopatologo professor K. Sasikala riferì alla stampa di proiettili calibro 7,62 (non impiegato dagli italiani ma utilizzato dalle armi delle motovedette cingalesi) o quando lo stesso Freddie Bosco, comandante e proprietario del Saint Anthony, dichiarò alle televisioni indiane di aver subito l'attacco a fuoco alle 21,30 e non alle 16,30 quando avvenne l'incidente che coinvolse la Enrica Lexie.

Accompagnato da un legale dell'armatore Fratelli d'Amato, Noviello ha raccontato al vice ispettore P.V. Vikraman, responsabile delle indagini sugli italiani che ha visto i due fucilieri attivare le misure di segnaletica luminosa, mostrare i fucili e poi sparare in acqua per evitare l'abbordaggio dei sospetti aggressori. Parlando ai cronisti locali dopo l'incontro, l'avvocato ha detto che Noviello ha ricordato agli inquirenti che «i soldati a bordo di navi civili operano sotto il controllo militare e che non sono sottoposti agli ordini del comandante».

I dubbi sulla buonafede delle accuse indiane restano quindi fondati e non è casuale che il ministro della Difesa, Mario Mauro, che nei giorni scorsi ha visitato Latorre e Girone a Nuova Delhi, si è detto certo che non siano colpevoli. «Siamo convinti dell'innocenza dei due fucilieri di Marina e siamo certi che li riporteremo a casa nel più breve tempo possibile», ha affermato Mauro sottolineando che «consideriamo prioritario anche l'aspetto della giurisdizione: erano in acque internazionali, su una nave con un mandato che li identificava chiaramente come soldati».

Gli investigatori della Nia hanno sentito tutti i sei testimoni civili convocati in India in base a una impegnativa presentata dal proprietario della Lexie alla Corte Suprema lo scorso maggio per il dissequestro della nave ma rimane il braccio di ferro con Roma per l'interrogatorio degli altri quattro fucilieri di Marina presenti sulla Lexie: Renato Voglino, Massimo Andronico, Antonio Fontana e Alessandro Conte. Secondo la stampa indiana, la loro mancata comparizione sta causando un ritardo nella conclusione delle indagini e nell'avvio del processo che le autorità italiane hanno previsto per settembre. La prossima settimana Staffan de Mistura, il commissario speciale del Governo che segue la vicenda, ritornerà a New Delhi per consultazioni tese a risolvere il contenzioso. «L'Italia non li ha ancora fatti venire in India nonostante le assicurazioni date alla Corte Suprema di farli testimoniare quando richiesto. Abbiamo chiesto al nostro ministero degli Affari Esteri di sollevare la questione con l'Italia», hanno detto fonti della Nia alla stampa indiana.

Roma non vuole portare in India i quattro militari (ma ne rende disponibile la testimonianza via videoconferenza) perché rappresenterebbe un ulteriore umiliante cedimento di sovranità alla giurisdizione indiana e potrebbe riservare sorprese dopo che il rapporto dell'ammiraglio Piroli ha stabilito che a sparare quel 15 febbraio del 2012 non furono i fucili Beretta AR 70/90 di Latorre e Girone ma quelli di Andronico e Voglino.

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