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Questo articolo è stato pubblicato il 13 agosto 2013 alle ore 06:42.
ROMA
Se si vota subito, anche prima del giudizio del Senato, Berlusconi è incandidabile. No, l'ex premier potrebbe ancora partecipare alla corsa elettorale. La questione non è di poco conto, visto che ad essa si legano le strategie politiche del Pdl e la durata stessa del governo Letta. Non sorprende quindi che, a due settimane dalla sentenza Mediaset della Cassazione che ha confermato la condanna d'appello a 4 anni di reclusione per Silvio Berlusconi (e deciso il rinvio alla Corte d'Appello di Milano per rideterminare l'interdizione dai pubblici uffici), i suoi possibili effetti politici siano ancora oggetto di discussione.
Ieri, Dario Stefano (Sel), presidente della Giunta per le elezioni del Senato che dovrà votare la decadenza di Berlusconi, ha detto: «L'aula del Senato voterà sulla decadenza di Berlusconi entro ottobre, ce la faremo». Ma se il governo cadesse prima del voto del Senato, Berlusconi potrebbe candidarsi? «Assolutamente no – ha risposto Stefano in una intervista a Radio Capital – la Giunta decide sulla decadenza dall'attuale mandato. In ogni caso la legge Severino introduce un argomento che sarà ineludibile e a me sembra impossibile che gli organi preposti alla validazione del risultato elettorale, in primis la Corte di Appello, possa validare l'elezione di uno che incorre nelle prescrizioni della legge Severino. Alle ultime amministrative la legge è già stata applicata, vedi il caso di "Tarzan" (Andrea Alzetta, di Sel, dichiarato non proclamabile dopo l'elezione in consiglio comunale a Roma)». È chiaro che se ci fosse l'automatismo condanna-incandidabilità, Berlusconi e il Pdl non avrebbero alcuni interesse nel correre al voto e far saltare il tavolo di fronte all'indisponibilità del Pd e del Quirinale a trovare una qualche forma di «agibilità politica» per il Cavaliere. Nonostante sia già partita la campagna per il rilancio di Forza Italia, con manifesti e striscioni in molte città.
Tuttavia, per Francesco Nitto Palma (Pdl), presidente della commissione Giustizia al Senato, in caso di decadenza di Berlusconi proclamata dalla Corte d'Appello, «si potrebbe presentare ricorso al Tar. Quando uno si trova in una situazione di incandidabilità, la Corte d'Appello deve sospenderlo dalle liste elettorali, ma si può agire davanti al giudice amministrativo. È chiaro – ha ammesso – che poi è molto probabile che il Tar respingerà il ricorso, visto che la legge Severino sul punto è chiarissima». Ma dal Pd si osserva che la norma è «chiara»: non può essere candidato né può ricoprire incarichi di governo chi ha riportato condanne definitive a pene superiori a 2 anni di reclusione, per delitti non colposi, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni. Per il vice presidente del Senato, Roberto Calderoli (Lega), invece, Berlusconi può fare sia il candidato che il premier: «La legge Severino, come tutte quelle del governo Monti, sono solo leggi manifesto incomplete. Nel vuoto della legge Severino vale solo l'articolo 66 della Costituzione, che attribuisce a ciascuna Camera il giudizio sui titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità. Se dovessimo tornare al voto prima del pronunciamento del Senato, Silvio Berlusconi potrebbe candidarsi sia alla Camera che al Senato della Repubblica. Se invece si dovesse tornare al voto dopo che il Senato abbia dichiarato la sua decadenza, Berlusconi potrà legittimamente candidarsi a deputato e solo la Camera successivamente potrà giudicare sulla sua ammissione, ovvero sulla sua ineleggibilità o incompatibilità. Il vero problema – ha concluso – sarebbe una sua interdizione dai pubblici uffici passata in giudicato dalla Corte d'Appello e da un eventuale ricorso in Cassazione».
Intanto ieri il leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini, in una intervista al Corriere della Sera ha aperto a una possibile «convergenza» con il Pdl («non sprechi l'occasione, siamo pronti ad assumerci la responsabilità di scegliere», ha detto). Una apertura che ha irritato Andrea Romano, di Scelta Civica, che ha parlato di «fine del fidanzamento elettorale».
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