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Questo articolo è stato pubblicato il 14 agosto 2013 alle ore 06:42.

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Sabato prossimo la Egypt Football Association, la federazione nazionale di calcio, si riunisce per decidere se riprendere a giocare. Sono già andate perse due stagioni, tante quante i presidenti della repubblica. La gente vuole normalità e non c'è niente di più normale in Egitto di una partita di calcio: hooligans a parte. Soprattutto adesso. Nonostante tutto, la nazionale è ancora in corsa per le qualificazioni ai mondiali in Brasile.

Non è per questo che ieri i Fratelli musulmani hanno lasciato il loro presidio attorno alla moschea di Rabaa al-Adawiya, per mettersi in marcia verso la polizia schierata. Durante gli scontri almeno un manifestante ha perso la vita. La nazionale è l'ultima cosa che ancora potrebbe unire il Paese. La protesta, con la marcia verso alcuni ministeri incidentalmente vicini alla sede della federcalcio, era contro il cambiamento dei responsabili di 18 dei 27 governatorati nei quali è diviso l'Egitto. I governatori sono i rappresentanti diretti del potere centrale del Cairo e a giugno, solo poche settimane prima di essere estromesso, Morsi ne aveva sostituiti molti. Incapace per un anno di conquistare lo Stato profondo che davvero governa il Paese - burocrazia, militari, polizia, giustizia, economia pubblica - la fratellanza cercava di incominciare ad occuparla a partire dai governatorati.

Ora si torna ai militari che, ex generali o ufficiali ancora in carica, tradizionalmente controllano i governatorati. Insieme ai 18 governatori sono stati nominati 9 vice. Era per questo che i Fratelli musulmani ieri si erano messi in marcia per protestare: si sono scontrati con la polizia e diversi sostenitori civili del colpo militare, lancio di lacrimogeni, risposta con i sassi e pochi feriti per i bilanci più sanguinosi ai quali il Cairo si è abituata. Tuttavia il giuramento è avvenuto in fretta davanti al presidente a interim Adly Mansour, e i nuovi governatori hanno già raggiunto le proprie sedi.

La rapidità delle nomine e perfino la convocazione della lega calcio, sono il segno di una nuova strategia dei militari: che non è più militare ma civile. Non più il ripetuto e disatteso annuncio di un'imminente operazione di ordine pubblico, probabilmente violenta: sgomberare le piazze controllate dai Fratelli musulmani provocherebbe un bagno di sangue, l'isolamento internazionale e la spaccatura interna del nuovo regime. Ma una lenta pressione, giorno per giorno. Intanto, chiusa la piazza dentro se stessa, si governa e si fanno nuove nomine, ignorando i fratelli musulmani.

Sempre che il progetto sia possibile, considerando la volatilità del momento, i Fratelli musulmani hanno i mezzi per rovinare i programmi. Ma anche loro hanno poche alternative. Ieri Gehad al-Haddad, uno dei pochi portavoce ancora a piede libero (non suo padre, alto dirigente del movimento), sosteneva che la fratellanza è pronta ad accogliere la mediazione politica di al-Azhar, il più importante centro del sunnismo mondiale. A condizione che «sia ripristinata la legittimità costituzionale»: cioè la Costituzione scritta e approvata l'anno scorso dagli islamisti. Anche se è esattamente per cancellare e riscrivere quella carta fondamentale che i militari hanno fatto il golpe, queste schermaglie possono essere considerate prove di dialogo.
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