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Questo articolo è stato pubblicato il 17 agosto 2013 alle ore 08:46.

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I generali egiziani sono formali e permalosi. Non hanno affatto apprezzato la decisione di Barack Obama di cancellare le manovre militari congiunte, previste per il mese prossimo. Si fanno da quasi 40 anni e ogni volta testimoniano un'alleanza fondamentale per l'Egitto, gli Stati Uniti e l'intero Medio Oriente.


Il presidente americano ha dato dunque un segnale forte ma avrebbe potuto darne di più significativi. Poteva sospendere l'aiuto militare di 1,3 miliardi di dollari che ogni anno viene dato alle forze armate: direttamente ai loro conti, segreti per questioni di "sicurezza nazionale", senza passare dal Bilancio dello Stato che invece è trasparente. Non è edificante per la potenza americana garantire un aiuto così e non essere in grado di influenzare i beneficiati: sin dall'inizio della crisi i generali egiziani ignorano sistematicamente le esortazioni del dipartimento di Stato.
Obama poteva anche prendere con chiarezza le parti dei Fratelli musulmani che hanno vinto tutte le elezioni, e chiamare una volta per tutte "golpe" il comportamento dei militari. Per questo è stato aspramente criticato da un fronte eterogeneo: la destra repubblicana a Capitol Hill, le sinistre europee, gli intellettuali anti-americani a prescindere del primo e del terzo mondo. Gli stessi che se invece Barack Obama avesse preso le parti dei militari o dei Fratelli musulmani, lo avrebbero accusato di inaccettabile interferenza negli affari interni dell'Egitto. E ciò di cui lo rimproverano comunque sia i militari che la fratellanza, inconsapevolmente provando l'equidistanza degli Stati Uniti.
Barack Obama aveva scaricato Hosni Mubarak perché piazza Tahrir, cioè la rivolta popolare, lo stava costringendo a dimettersi; aveva scelto di sostenere i Fratelli musulmani perché Morsi aveva vinto le elezioni presidenziali; non aveva chiamato "golpe" l'intervento militare perché era stato sostenuto da milioni di egiziani; né denunciato l'ostinazione degli islamisti perché altri milioni di egiziani li seguivano.
Forse è la politica poco determinata di una superpotenza che ha deciso di disimpegnarsi da un Grande Medio Oriente, dalla Tunisia all'Afghanistan, produttore di conflitti senza soluzioni. Ma la crisi egiziana, più delle altre, ha potenzialità devastanti: la Siria sta lentamente trascinando dietro di se il Libano; la guerra civile egiziana coinvolgerebbe tutti. E' il vero Paese-guida della regione, può definire dinamiche: ha 90 milioni di abitanti, a Suez controlla un canale sempre determinante per i commerci mondiali, le sue forze armate sono le più potenti. Da quando l'Egitto è in pace con Israele una guerra araba contro lo Stato ebraico è impossibile.
E' stato raccontato che Israele e la sua lobby di Washington abbiano insistito molto perché l'amministrazione americana limitasse la punizione, evitando la cancellazione dell'aiuto militare. Israele ha il suo interesse: il generale al-Sisi garantirebbe più di Mohamed Morsi gli accordi di pace del 1979 e le frontiere del Sinai. Ma quella pace, l'unica insieme agli accordi fra Giordania e Israele, è uno dei pochi pilastri di stabilità della regione.
Data la gravità degli avvenimento altrove, è passato inosservato che i palestinesi di Gaza hanno ricominciato a lanciare razzi su Israele. E' la reazione alla ripresa dei colloqui di pace con i palestinesi di Cisgiordania. E anche il segno dell'isolamento di Hamas, rimasto senza i sostenitori della fratellanza al Cairo. Qualche giorno fa i militari egiziani avevano chiuso i valichi con la striscia, soprattutto per impedire il passaggio di armi e qaidisti nel Sinai: l'indebolimento del potere al Cairo ha trasformato la penisola in un potenziale Waziristan ai confini di Israele. Come è noto, quando percepiscono una minaccia, gli israeliani rinunciano alle sensibilità politiche e passano all'azione militare.
Quello che sta accadendo al Cairo è dunque un terremoto le cui onde d'urto incontrollabili si trasmettono in varie direzioni. Come in Afghanistan, Iraq e Siria, le milizie dell'internazionale qaidista si preparano a partecipare anche a una rivoluzione egiziana. Quale altro atteggiamento dovrebbero avere gli americani e gli europei sull'Egitto, se non una determinata cautela?

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