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Questo articolo è stato pubblicato il 17 agosto 2013 alle ore 08:24.
Ieri a Milano il Tribunale del Riesame ha respinto la richiesta di scarcerazione presentata dal ragionier Pietro Varone, l'ex top manager della Saipem arrestato il 24 luglio scorso nell'ambito dell'inchiesta per corruzione della Procura meneghina legata a contratti multimiliardari ottenuti da Saipem in Algeria.
Nel dicembre scorso Varone era stato licenziato dalla Saipem.
Il giudice del Riesame ha dato ragione al pm Fabio De Pasquale, ritenendo sufficienti a giustificare l'arresto le risultanze dell'indagine da lui coordinata e condotta dal Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Milano. I finanzieri avrebbero trovato le tracce di versamenti per milioni di euro fatti a favore Varone da personaggi sospettati di aver beneficiato di tangenti.
Ma quelle che sarebbero finite all'allora manager di Saipem sono comunque briciole rispetto a quanto pare sia circolato in maxicommissioni, sovraffatturazioni, tangenti e retropagamenti. A Il Sole 24 Ore risulta che dalle varie inchieste sulla vicenda, condotte in parallelo dalle autorità giudiziarie non solo italiane ma anche algerine, francesi e canadesi, sono emerse società a Panama, yacht, immobili, aziende, opere d'arte oltre che conti cifrati a Dubai, a Singapore, in Libano e in Svizzera.
Il flusso dei fondi neri non è stato ancora quantificato con precisione, ma ha sicuramente superato il mezzo miliardo di euro. Forse anche di molto.
Il principale beneficiario diretto, secondo gli inquirenti, sarebbe Farid Bedjaoui, fiduciario dell'ex ministro dell'energia algerino Chakib Khelil, al quale si sospetta fosse destinato il grosso dei fondi.
È stato accertato che solo la Saipem ha versato circa 200 milioni di euro alla Pearl Partner Ltd, società di facciata gestita da Bedjaoui pagata per servizi di agenzia apparentemente mai resi. Altri 200 milioni sarebbero confluiti su tre o quattro veicoli societari creati da Bedjaoui per ricevere occultamente commissioni dalla Snc Lavalin, gigante dell'ingegneria canadese.
Come ha rivelato per primo il Corriere della Sera il 6 agosto scorso, lo stesso Varone avrebbe detto agli inquirenti che Bedjaoui fungeva da collettore di tangenti per conto del ministro algerino: «Mi ha detto che dava soldi al ministro dell'Energia Khelil». A Il Sole 24 Ore risulta inoltre che altri denari siano stati versati su conti svizzeri anche dalla divisione costruzioni di Orascom, il gruppo del magnate egiziano Naguib Sawiris. Il che spiegherebbe la recente decisione del procuratore generale algerino Belkacem Zeghmati di citare anche la holding egiziana nei mandato di cattura emessi contro Khelil, Bedjaoui e altre sette persone.
Gli inquirenti hanno nel frattempo trovato anche un'altra pista. Che porta in Canada. Riguarda la compagnia petrolifera First Calgary Petroleum, Fcp, che tra il 2002 e il 2007 a Il Sole 24 Ore risulta aver firmato contratti di agenzia con società di comodo di Bedjaoui e aver pagato denaro poi confluito sui soliti conti svizzeri. Da quei conti sarebbero poi partiti fondi che hanno finanziato l'acquisto di una proprietà immobiliare in Maryland intestata a Khelil e al suo storico amico Omar Habour, colui che gli inquirenti algerini ritengono abbia introdotto l'allora ministro dell'energia al faccendiere Bedjaoui (la presentazione sarebbe avvenuta nel 2002 in Libano).
Il sospetto degli inquirenti è che Fcp abbia acquisito le concessioni per lo sviluppo di due giacimenti di petrolio e gas algerini, i blocchi 405b e 406a, grazie a un contratto di agenzia con una delle tante società di comodo di Bedjaoui.
«Che Khelil avesse effettivamente un rapporto un po' particolare con First Calgary, o con il suo vertice, lo dimostra una sua lettera dell'aprile del 2008», ci fa notare un interlocutore algerino. Il riferimento è a una missiva che Khelil indirizzò al presidente della compagnia petrolifera canadese in cui manifestava la propria preoccupazione «per le recenti discussioni pubbliche su possibili cambiamenti nel management di Fcp. In particolare la rimozione dell'amministratore delegato Anderson». Khelil spiegava di stimare «il valore aggiunto dato dal management di Fcp» e di temere che «in questo momento critico un cambiamento manageriale potrebbe avere conseguenze negative». Considerando che l'Algeria rappresentava qualcosa come l'80% del business di First Calgary, quella dichiarazione di supporto ad Anderson da parte del ministro algerino era un'intrusione nelle scelte interne di Fcp tanto sfacciata quanto pesante.
Pochi mesi dopo quella lettera, nel settembre del 2008, First Calgary è stata acquisita dall'Eni per 610 milioni di euro. Un'operazione che secondo fonti algerine non si poteva chiudere senza l'avallo dell'allora potentissimo ministro dell'energia algerino. Adesso gli inquirenti algerini stanno cercando di capire se Khelil sia stato compensato da qualcuno per quel suo beneplacito.
Ad aprile due magistrati algerini e due agenti del Département du Renseignement et de la Sécurité, o Drs, il servizio di intelligence che sta conducendo le indagini, sono venuti in Italia a scambiare idee e informazioni con gli inquirenti milanesi su tutte le questioni aperte. Altro fronte d'indagine condiviso è stato quello che riguarda i subappaltatori di Saipem. A Il Sole 24 Ore risulta che anche nei loro contratti si creassero gli spazi per la costituzione di fondi neri.
cgatti@ilsole24ore.us
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