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Questo articolo è stato pubblicato il 18 agosto 2013 alle ore 16:21.

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(©Pierluigi Benini)(©Pierluigi Benini)

Chott el Jerid, sud della Tunisia, Ferragosto, il giorno simbolicamente più caldo dell'anno, Paolo Venturini decide di passarlo tentando una performance mai realizzata da altri prima di lui: attraversare il grande lago salato. Ultramaratoneta di grande esperienza, Paolo ha alle spalle un palmarès di tutto riguardo: 76 km nella Death Valley, 3° nella 100 km dei Faraoni, diverse partecipazioni alla 100 km del Sahara e nel deserto della Namibia.

Un innamorato dei grandi spazi desertici, dunque, e nel sud della Tunisia si è messo nuovamente alla prova. In una gigantesca depressione bianca di sale, che riflette e amplifica il calore e la lucentezza abbagliante del giorno, Venturini alle 6.15 del mattino parte per la sua lunga corsa solitaria, che attraverserà da nord-ovest a sud-est il deserto del Chott, seguito a distanza da un team di medici, psicologi, stampa e logistica generale. È presente anche la Tv nazionale tunisina che darà passaggi sull'evento in due edizioni del telegiornale. La temperatura ancora non è proibitiva, anche se inesorabilmente salirà fino a raggiungere nel suo acme i 48°C. L'umore è alto, la motivazione è forte, come anche la preparazione fisica e mentale. Ogni 10 km, check point itineranti fanno servizio ristoro con acqua, sali minerali, gel e datteri, mentre il team scientifico valuta le condizioni e la tenuta psico-fisica dell'atleta con test finalizzati. Tenuta psico-fisica che è ottima, anche quando imprevisti rendono rischiosa l'impresa.

Alta tensione. Dopo "solo" 30 km lo staff perde il contatto con l'atleta: una vasta area del Chott nella quale Venturini si è addentrato presenta, sotto una lieve crosta di sale, un fondo vischioso e cedevole che rende il passo della corsa faticoso e dispersivo, l'accesso ai quod difficoltoso, il supporto dei fuoristrada proibitivo. Appuntamento all'estremità dell'oasi Nefta; ma Paolo non arriva, dopo più di due ore di mancato contatto si pensa di allertare la polizia locale, l'elicottero è pronto a decollare. Fine di un'avventura. No, non ancora: un militare lo avvista in lontananza, acqua spugnaggi gel. "20 km senz'acqua a queste temperature, neanche un cammello!", è la battuta scherzosa dell'atleta. L'umore è ancora alto, i nervi sono saldi, la corsa prosegue, anche se il fisico è un po' fiaccato. Rilievi, test medici e via, si riparte.

Appuntamento alla carcassa di un pullman rimasta abbandonata nel mezzo del niente, al 72° km. Paolo ci arriva stanco, anche se i parametri medici risultano essere buoni; tra i vari, 187 sono i battiti cardiaci che, dopo uno sforzo tale, non sono davvero troppi. Ma un po' di nausea, dovuta a un principio di disidratazione, e qualche dolore intercostale e ai piedi, dovuto al continuo adattamento a un terreno impervio, fanno decidere che quello è l'arrivo finale. Siamo comunque approdati all'altro lato del grande lago salato, lo scopo è stato raggiunto. "Ho calpestato almeno dieci tipi di fondo diverso, dal piatto-duro al cedevole-melmoso, tutti paesaggi incantevoli e ostili al tempo stesso", queste le prime parole a caldo dell'atleta, ricco di una nuova grande esperienza che, non solo lui, si porterà per sempre nel cuore.

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