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Questo articolo è stato pubblicato il 25 agosto 2013 alle ore 08:25.

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ROMA
«Ci rivolgeremo alle massime istituzioni della Repubblica». La decadenza di Silvio Berlusconi, su cui il Senato dovrà votare, «è impensabile e costituzionalmente inaccettabile». Dalle parole di Angelino Alfano dopo il vertice di Arcore di ieri, l'exit strategy per garantire l'agibilità politica dell'ex premier sembra tornare verso l'appello al capo dello Stato e la richiesta di un rinvio alla Consulta della legge Severino. Ma la strada è strettissima.
È stato proprio il presidente emerito della Corte costituzionale Valerio Onida, giovedì scorso dalle pagine del Sole 24 Ore, a lanciare l'ipotesi: c'è «il problema sollevato da alcuni sulla applicabilità della legge Severino nella parte in cui sancisce l'incandidabilità e la decadenza a seguito di condanne per fatti commessi anteriormente all'entrata in vigore della stessa legge, in relazione al principio di irretroattività delle pene e più in generale delle sanzioni». C'è chi reputa l'incandidabilità una sanzione di natura penale e l'articolo 25 della Costituzione stabilisce che «nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso»: Berlusconi è stato condannato per fatti avvenuti prima dell'entrata in vigore della Severino. Onida è convinto che il dubbio sia «infondato» (il legislatore ha voluto introdurre l'incandidabilità «come limite al generale diritto di elettorato passivo»), «ma poiché viene avanzato da molte parti – ha scritto – la Giunta delle elezioni, o forse meglio l'assemblea del Senato su proposta di questa, potrebbe, d'ufficio o su istanza di parte, sollevare la questione davanti alla Corte costituzionale, sospendendo il giudizio in attesa della pronuncia di questa, ove valutasse tale dubbio non già necessariamente fondato, ma anche soltanto non manifestamente infondato». C'è anche un'altro aspetto che potrebbe essere approfondito, come evidenziato da Nicolò Zanon, professore di diritto costituzionale alla Statale di Milano e membro laico di area Pdl del Csm: con la legge Severino «si chiede in pratica alle Camere di prendere atto automaticamente delle conseguenze di atti giudiziari», ma l'articolo 66 della Carta stabilisce che sono le Camere a «giudicare» delle cause di ineleggibilità. «Il Parlamento – ha spiegato Zanon – in quanto organo politico, non è chiamato a emettere atti dovuti».
Il ricorso alla Consulta, per Cesare Mirabelli, presidente emerito della Consulta, è comunque complesso: «Un organo del Parlamento dovrebbe comportarsi come un giudice e questo è piuttosto singolare». La decisione della Corte (che ha tempi lunghi, 7-8 mesi), anche se bocciasse la legge Severino, non escluderebbe per Berlusconi l'addio al Senato. La Cassazione il 1° agosto ha confermato la condanna per Berlusconi a 4 anni (3 condonati dall'indulto) per frode fiscale, ma ha rinviato il calcolo della pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici (prevista a 5 anni) alla Corte d'Appello (che dovrà fissarla tra uno e 3 anni). «La pronuncia della Corte d'appello – ha scritto Onida – è imminente» (si parla di ottobre-novembre), e «l'eventuale ricorso in Cassazione prolungherebbe di poco l'attesa», rischiando di essere dichiarato «infondato se non addirittura inammissibile». Qui in punta di diritto potrebbe intervenire la grazia del Capo dello Stato, che «può estinguere oltre la pena principale anche quelle accessorie», ha sottolineato Valerio Spigarelli, presidente dell'Unione delle camere penali. Tuttavia, Giorgio Napolitano, nella sua nota di Ferragosto è stato chiaro: valuterà una eventuale domanda di grazia, per verificare le condizioni che possano motivare un «eventuale atto di clemenza individuale che incida sull'esecuzione della pena principale».
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