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Questo articolo è stato pubblicato il 28 agosto 2013 alle ore 10:27.

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Il presidente iraniano Hassan Rohani (Afp)Il presidente iraniano Hassan Rohani (Afp)

Agli occhi dell'Amministrazione americana le conseguenze non sono certo irrilevanti: attaccare il regime siriano, punendolo così per aver commesso una strage di civili con armi chimiche, equivarrebbe a compromettere - se non a rompere definitivamente - i rapporti con Teheran proprio in un momento in cui l'inaspettato trionfo di un presidente "moderato" alle ultime elezioni, Hassan Rohani, ha aperto concrete speranze per il riavvio di una fase negoziale con gli Stati Uniti sul controverso programma nucleare iraniano.

Poco importa se l'obiettivo dei probabili strike contro Damasco non sia il cambio di regime, né l'eliminazione del presidente siriano Bashar al-Assad (obiettivi che i diplomatici premono affinché siano raggiunti diplomaticamente). Già in passato il regime degli Ayatollah è stato fin troppo chiaro: attaccare Damasco equivale attaccare gli interessi nazionali di Teheran.

Per l'Iran il regime di al-Assad, alla guida della minoranza alawita (sciiti duodecimali), è un alleato di vitale importanza. Assistere senza far nulla alla sua caduta, significa perdere il suo ponte sul Mediterraneo. In altre parole, recidere il cordone ombelicale che lega gli Ayatollah al movimento sciita libanese Hezbollah. Uno scenario del genere sarebbe un durissimo colpo all'asse sciita (Libano, Siria, Iraq Iran) che si sta contrapponendo a quello sunnita in un periodo di accese rivalità tra le due confessioni per il controllo della regione. Damasco e Teheran, ma anche gli Hezbollah, hanno un interesse comune: serrare i ranghi, impedendo a ogni costo che in Sira prevalga la rivolta armata, guidata in larga parte dai sunniti (la schiacciante maggioranza in Siria).

Sono ormai mesi che migliaia di miliziani Hezbollah combattono a fianco dell'esercito di Assad. Il loro contributo si è rivelato decisivo nella riconquista di città strategiche e obiettivi militari importanti a favore del regime. Le voci secondo cui centinaia di pasdaran iraniani e addestratori militarti operano clandestinamente in Siria sono ritenute più che fondate (così come quelle secondo cui operano gruppi sciiti iracheni, come elementi delle milizie, sciolte, del Badr, l'allora ala militare dell'Imam radicale Moqtada al Sadr). Nel tentativo di dissuadere le potenze occidentali dall'effettuare l'attacco punitivo, il regime iraniano è passato alle minacce: un attacco avrà certamente "pericolose conseguenze per l'intera regione".

Il ventaglio di potenziali rappresaglie in mano all'Iran è piuttosto ampio. Teheran può giocare su più fronti Potrebbe destabilizzare ulteriormente il Libano, attraverso gli Hezbollah. Fare lo stesso in Afghanistan, aiutando gli insorti contro le forze dell'Isaf a pochi mesi dal ritiro delle truppe internazionale. Fino ad usare gli Hezbollah per colpire Israele. Quest'ultima è una decisione estrema, che difficilmente verrà portata avanti se il raid contro Assad durerà solo tre giorni e si limiterà ai siti dove vengono custodite armi chimiche.

Le ripercussioni sul programma nucleare sembrano, invece, molto più probabili: Secondo Israele, e non solo, l'Iran è ormai prossimo allo capacità di sviluppare un ordigno atomico. Il fatto che il dossier nucleare dovrebbe essere affidato al nuovo ministro degli Esteri, Javad Zarif, un moderato che ha studiato in occidente, non è da sottovalutare. L'Amministrazione di Barack Obama non ha mai nascosto di preferire la via negoziale con Teheran all'alternativa di un raid contro le sue installazioni nucleari. Questo sarebbe un vaso di Pandora che nessuno, o quasi, vorrebbe aprire.

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