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Questo articolo è stato pubblicato il 02 settembre 2013 alle ore 17:01.

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Assad non abbassa la guardia

BEIRUT. Sono tre gli interrogativi sugli effetti, dentro e fuori la Siria, di un eventuale intervento militare americano contro Bashar Assad. Emile Khoury, editorialista di «Orient le Jour», quotidiano di Beirut che fu diretto da un intellettuale importante come Ghassan Tueni, li sintetizza così: «Lo "strike" americano modificherà l'equilibrio delle forze tra il regime e l'opposizione? Le reazioni verranno soltanto da Damasco o si estenderanno anche all'Iran e agli Hezbollah libanesi, allargando il conflitto? Quali saranno le conseguenze per le altre potenze regionali come Israele, la Turchia, l'Iraq, le monarchie del Golfo?».

A una delle domande di Koury, forse la più importante, risponde uno dei maggiori esponenti degli Hezbollah sciiti che in Libano fronteggiano le milizie sunnite e combattono spalla a spalla con le truppe di Assad: sono stati loro a riconquistare la roccaforte ribelle di Qusayr. Abdallah Kassir, 56 anni, è uno dei fondatori del movimento guidato da Hassan Nasrallah: ci riceve nel suo ufficio di direttore generale della tv al Manar, definito il «canale della Resistenza».

Sugli scenari che potrebbero seguire all'intervento militare americano per la prima volta Kassir fa una dichiarazione assai esplicita: «Nel caso di attacco di Washington siamo preparati anche allo scenario peggiore: i nostri missili sono pronti a ogni rappresaglia». E come bersaglio sottintende Israele: «Gli americani faranno forse un'azione limitata proprio perché temono la nostra reazione contro lo Stato ebraico». Se Israele venisse coinvolto tutto potrebbe complicarsi, con reazioni imprevedibili del mondo arabo-musulmano, soprattutto nel Sud del Libano dove ancora regge il cessate il fuoco del 2006.

Nell'ufficio di Kassir scorrono sui monitor le immagini della tv siriana che trasmette marce militari e musica patriottica. Cosa faranno i siriani? «Risponderanno colpo su colpo - dice Kassir aspirando il suo sigaro con soddisfazione come il tycoon di un network occidentale -. Dipende dalla portata dell'attacco Usa se la guerra diventerà un conflitto su larga scala. Per questo siamo pronti, come anche l'Iran da dove è arrivato questo messaggio dai Pasdaran, le Guardie della rivoluzione: gli americani in Medio Oriente troveranno ad aspettarli le loro bare». Dove possono colpire gli Stati Uniti? «Le basi aeree e le batterie di missili rappresentano il potere strategico di Assad e gli assicurano la superiorità militare sui ribelli. Lo scopo dell'intervento mi sembra chiaro: gli Usa intendono modificare i rapporti forza per indebolire Assad e andare alla Conferenza di Ginevra 2 per costringere il regime a negoziare». E questa è una tesi che condivide anche Emile Koury, che pure è schierato sul fronte opposto agli Hezbollah.
Secondo il direttore di al-Manar, che in arabo significa il Faro, gli americani sanno che la guerriglia, foraggiata da Turchia, Arabia Saudita e Qatar, non è in grado di vincere da sola. Ma avrebbero calcolato male la posizione della Russia, non solo dell'Iran: «I russi sulla Siria non trattano: sono convinti che, dopo la Libia, se cedono qui non possono poi negoziare con Washington su un piano di parità».

Hezbollah è un movimento con forti radici popolari, un'organizzazione economica e militare, forse la più efficiente del mondo arabo, e una sorta di stato nello stato. Anche se l'Unione europea lo ha messo nella lista nera dei gruppi terroristici resta un fattore decisivo della politica libanese e regionale come sanno bene gli 11mila soldati di Unifil nel Sud, tra i quali un contingente italiano di oltre mille uomini. Chiedo a Kassir come mai una forza come Hezbollah, che siede in Parlamento e al governo, combatte a fianco di un raìs che si è distinto per avere comunque massacrato il suo popolo. «Siamo dove dobbiamo stare, ha detto Seyed Hassan Nasrallah: significa che noi aderiamo all'Asse della Resistenza di cui fanno parte la Siria e l'Iran, difendiamo così anche l'indipendenza del Libano da Israele e dalle ingerenze esterne delle monarchie del Golfo».

«Un'azione americana limitata potrebbe favorire la propaganda Assad, serve invece un intervento deciso, radicale», dice il leader druso Walid Jumblatt, che rieccheggia la posizione bellicosa del premier turco Erdogan ribadita mentre ieri i Phantom sorvolavano Istanbul. Erdogan è forse il più deluso dei vecchi amici di Bashar mentre Jumblatt ha un conto da regolare con gli Assad: furono i siriani i probabili mandanti nel 1977 dell'assassinio del padre Kamal. In Medio Oriente oltre alle strategie della geopolitica contano anche le faide personali, specchio deformante in cui si riflettono i conflitti settari, confessionali e, in definitiva, l'infelice destino di popoli arabi.

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