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Questo articolo è stato pubblicato il 03 settembre 2013 alle ore 06:40.

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MILANO
Fiat torna a porre con forza il tema dell'esigibilità dei contratti e della rappresentanza sindacale come condizione essenziale per mantenere la propria presenza industriale in Italia. Il Lingotto ha comunicato ieri a Fiom la decisione di accettare la nomina dei suoi rappresentanti sindacali aziendali all'interno delle aziende del gruppo, come conseguenza della sentenza della Corte Costituzionale dello scorso 23 luglio. In quell'occasione la Consulta aveva definito l'articolo 19 dello Statuto dei Lavoratori (che riserva le Rsa alle sole sigle sindacali firmatarie del contratto applicato nell'unità produttiva interessata) in contrasto con i valori di pluralismo e libertà d'azione sanciti dall'articolo 39 della Costituzione. Con quella sentenza i giudici della Suprema Corte avevano in pratica accolto il ricorso Fiom contro la decisione di Fiat di escluderla dalla rappresentanze aziendali, in quanto non firmataria del nuovo contratto ad hoc, fuori dal perimetro del Ccnl, voluto dall'azienda automobilistica alla fine del 2011.
Con la decisione di ieri, Fiat «intende rispondere in maniera definitiva ad ogni strumentale polemica in relazione all'applicazione della decisione» della Corte Costituzionale che comunque «fissa, come ovvio – prosegue il Lingotto – un principio di carattere generale, vale a dire la titolarità dei diritti di cui all'articolo 19 dello Statuto dei lavoratori, alle organizzazioni sindacali che abbiano partecipato alle trattative per la sottoscrizione dei contratti applicati in azienda, la cui riferibilità alla Fiom nella concreta situazione Fiat è più che dubbia».
La decisione Fiat, come detto, chiude per certi versi un capitolo della lunga vicenda giuridico-industriale che l'ha vista protagonista negli ultimi anni, ma ne lascia aperto un altro, cruciale per il futuro industriale dell'azienda e del paese. «Un intervento legislativo – si legge nella nota Fiat – è ineludibile. La certezza del diritto – ribadisce il Lingotto è una condicio sine qua non per la continuità stessa dell'impegno industriale di Fiat in Italia».
Ed è proprio questo richiamo che è suonato come un campanello d'allarme, ieri, tra i sindacati, alla vigilia di decisioni fondamentali per il futuro dello stabilimento produttivo di Mirafiori (e in misura inferiore anche per Cassino), la cui mission industriale è ancora tutta da definire. I 5.500 addetti del sito torinese sono in Cigs fino a fine settembre. Il sindacato attende di avviare una discussione sul rinnovo degli ammortizzatori (si è parlato anche di una condivisione del piano sociale con il polo di Grugliasco), a fronte però di un piano di investimenti pluriennale su nuovi modelli, sempre rimandato negli ultimi mesi. Secondo le dichiarazioni di Fim, Uilm e Fismic, quindi, Fiat punterebbe ad esigere un quadro normativo chiaro proprio in vista delle prossime decisioni sul piano industriale.
«Per noi gli investimenti vanno rispettati, non possono essere subordinati a un intervento legislativo pur importante e necessario» ha detto ieri il segretario della Uilm Rocco Palombella. Dello stesso avviso Ferdinando Uliano della Fim, secondo cui «è indubbio che l'esigibilità dei contratti dà certezze nelle relazioni sindacali, ma subordinare a questo l'impegno industriale di Fiat in Italia è un errore». Ancora più esplicito Roberto Di Maulo, segretario della Fismic, secondo il quale «Fiat approfitta del silenzio del governo per allungare ancora i tempi sugli investimenti, questo rende più preoccupante il quadro a Mirafiori e, in prospettiva, a Cassino. Rischiamo – ha detto – la completa delocalizzazione senza quadro di riferimento certo per il sistema di relazioni industriali».
Due i passaggi fondamentali nell'interlocuzione agostana tra Fiat e il Governo: il vertice Letta-Elkann-Marchionne del 7 agosto («in Italia è possibile fare industriale e il Governo sta lavorando per questo» avrebbe detto il premier) e le dichiarazioni del ministro Giovannini al meeting di Rimini, il 20 agosto («fermo restando che la sentenza della Corte non ha creato un vuoto normativo, stiamo lasciando alle parti sociali il tempo per trovare accordi in materia di rappresentanza, per poi valutare l'opportunità di un intervento normativo»). Ora l'azienda prova a dare un colpo di acceleratore al dibattito.
Ieri il segretario della Fiom Maurizio Landini, nonostante la soddisfazione per la decisione del Lingotto («la Fiom – ha detto – rientra in fabbrica dalla porta principale, ora si affronti il vero nodo: il futuro produttivo e occupazionale del Gruppo in Italia) ha ammonito: «la Fiat non può vincolare le istituzioni del nostro Paese legando il mantenimento della produzione in Italia ad una legge che le aggrada. Che in questo Paese ci sia bisogno di una legge sulla rappresentanza la Fiom lo sostiene da tempo». Dal punto legislativo, il punto di partenza potrebbe essere l'accordo interconfederale sulla rappresentanza del 31 maggio. Lo stesso leader dell'Ugl Giovanni Centrella ieri ha detto che «seguendo il solco delle intese già sottoscritte tra Confindustria e sindacati, bisognerebbe procedere a passo spedito attraverso una legge». È da tempo all'esame della Commissione Lavoro di Montecitorio, però, anche un corpus di proposte di legge (Airaudo n. 709), Damiano (n. 519), Polverini (n.1.376) e di iniziativa popolare (n.5). La discussione, come confermato nei giorni scorsi da Giorgio Airaudo, ex leader Fiom e oggi deputato Sel, dovrebbe riprendere venerdì.

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