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Questo articolo è stato pubblicato il 03 settembre 2013 alle ore 06:41.

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CITTÀ DEL VATICANO
La voce più forte sulla Siria arriva dal Vaticano, che da un attacco armato vede i rischi di una guerra mondiale. Parole che pesano come macigni, specie se pronunciate il giorno dopo l'appello di Papa Francesco all'Angelus di domenica, dove ha gridato «mai più guerra, mai più guerra», un appello che ricorda quello drammatico di dieci anni di Giovanni Paolo II alla vigilia dell'attacco in Iraq. E Bergoglio ieri ha scritto un nuovo tweet, sempre riferito alla crisi in Siria e ai rischi di guerra. «Vogliamo un mondo di pace, vogliamo essere uomini e donne di pace», ha scritto dal suo account @Pontifex il Pontefice.
Al digiuno indetto dal Pontefici per sabato prossimo ha detto che è «probabile» partecipi anche il ministro degli Esteri, Emma Bonino. Il premier Letta ha invece ribadito la posizione italiana («capisco le reagioni di Usa e Francia, perché l'uso di armi chimiche non può restare impunito, ma senza mandato dell'Onu l'Italia resta fuori»). Semmai ha invitato Assad a tener conto della buona volontà dimostrata da Obama.
I rischi di un conflitto globale sono stati paventati dal vescovo Mario Toso, segretario del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, il dicastero "competente" sull'analisi delle questioni strategiche e umanitarie. «La via di soluzione dei problemi della Siria non può essere quella dell'intervento armato. La situazione di violenza non ne verrebbe diminuita. C'è, anzi, il rischio che deflagri e si estenda ad altri Paesi», ha affermato il presule salesiano ai microfoni di Radio vaticana.
«Il conflitto in Siria contiene tutti gli ingredienti per esplodere in una guerra di dimensioni mondiali e, in ogni caso, nessuno uscirebbe indenne da un conflitto o da un'esperienza di violenza. L'alternativa non può essere che quella della ragionevolezza, delle iniziative basate sul dialogo e sul negoziato. Insomma occorre cambiare strada. Occorre imboccare senza indugio la via dell'incontro e del dialogo, che sono possibili sulla base del rispetto reciproco, dell'amore». E ha aggiunto: «Il Pontefice si fa interprete del grido che sale da ogni parte, dal cuore di ognuno, dall'unica grande famiglia che è l'umanità. Si tratta di un sussulto universale della coscienza della gente, dei popoli».
Di Siria del resto il Papa si è occupato direttamente sabato scorso - il giorno della nomina di Pietro Parolin a segretario di Stato e poche ore prima dell'appello dell'Angelus - ricevendo i cardinali Tarcisio Bertone e Leonardo Sandri, prefetto per le Chiese Orientali, e il "ministro degli Esteri", l'arcivescovo Dominique Mamberti.
Intanto arrivano segni di consenso diplomatico all'iniziativa del Papa. L'appello «è saggio e condivisibile, e noi cinesi siamo con lui» dicono due alti funzionari del Governo cinese, che vogliono rimanere anonimi ma che all'agenzia AsiaNews (Pime) hanno commentato il richiamo espresso da Francesco. «Non vogliamo più vedere conflitti in Medio Oriente, siamo contrari - proseguono i funzionari - all'attacco proposto dagli Stati Uniti contro il governo di Damasco.
Come dice il Pontefice la guerra chiama la guerra e la violenza chiama la violenza. Papa Francesco, ti ringraziamo per questo intervento».
I due si occupano di relazioni fra culture e religioni in Cina: «Il Governo cinese - spiegano - non conosce bene il nuovo Pontefice ma di lui apprezza molte cose, dalla semplicità ai discorsi che ha fatto al mondo cristiano.
Si potrebbe persino fare un confronto tra Francesco e il nuovo presidente cinese Xi Jinping, che ha portato alcuni buoni cambiamenti. Anche Xi è semplice e amichevole, vuole il bene comune del suo popolo proprio come sta facendo il Papa», riporta Asianews. Segnali positivi anche per la nomina di Parolin, profondo conoscitore della Cina e del dossier sulle relazioni tra Vaticano e Pechino.
E ieri è spuntato un piccolo giallo su un presunto incontro tra i Paesi "Amici della Siria": fonti di agenzia hanno riportato che era stato fissato per il 7 settembre a Roma, nei giorni in cui è prevista la presenza del segretario di Stato Usa, John Kerry. Ma fonti della Farnesina hanno smentito questa eventualità: «Non ci sarà alcuna riunione del gruppo degli "Amici della Siria" a Roma, né domenica né in un altro giorno». Ma il premier Enrico Letta, a margine del suo viaggio in Slovenia, a precisa domanda su questo ha risposto: «Vedremo».
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