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Questo articolo è stato pubblicato il 16 settembre 2013 alle ore 09:59.

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Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama e il presidente iraniano, Hassan Rohani (Epa)Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama e il presidente iraniano, Hassan Rohani (Epa)

C'è una data che segna la storia del Medio Oriente: il 4 novembre 1979 quando il sequestro dei 52 ostaggi americani nell'ambasciata Usa a Teheran (rilasciati nel gennaio 1981) sancì la rottura delle relazioni diplomatiche tra l'Iran di Khomeini e gli Stati Uniti. Da quel momento l'America ha sempre visto nella repubblica sciita degli ayatollah un nemico irriducibile che minacciava Israele, principale alleato nella regione, e le monarchie petrolifere sunnite del Golfo.

Lo scambio di lettere tra Barack Obama e il presidente Hassan Rohani può cambiare questa storia, soprattutto se sarà seguito da un incontro tra i due ai margini della prossima Assemblea generale delle Nazioni Unite, come ipotizzano diversi organi di stampa. Obama e Rohani si sono consultati sulla Siria, dove l'Iran rappresenta con gli Hezbollah libanesi il principale sostegno militare del regime di Assad, ma è chiaro che in primo piano c'è il dossier nucleare e il programma iraniano per l'arricchimento dell'uranio, sospettato di avere finalità nucleari.

In questi tre decenni di guerra fredda tra Teheran e Washington iraniani e americani hanno provato a fare diplomazia segreta con risultati disastrosi (l'affare Iran-Contras) o ambigui, durante l'invasione Usa dell'Afghanistan nel 2001 e l'occupazione dell'Iraq nel 2003. Nell'ufficio di Hashemi Rafsanjani, ex presidente e uno dei fondatori della repubblica islamica, un giorno mi fu persino mostrata una Bibbia con una firma di Ronald Reagan (difficile dire se fosse autografa). Ma la questione di fondo è rimasta: non ci può essere stabilità in Medio Oriente fino a quando la superpotenza americana e quella regionale del Golfo non si metteranno d'accordo per ristabilire relazioni diplomatiche.

Certamente anche a Teheran qualche cosa è cambiato: il nuovo presidente Rohani ha nominato uno staff dove sono almeno un paio i ministri che hanno studiato negli Usa e che conoscono bene l'America (uno ha persino la green card e la residenza a New York). Segnali di apertura sono stati colti dal vice ministro degli Esteri italiano Lapo Pistelli, unico rappresentante ufficiale di un governo occidentale a recarsi recentemente a Teheran e con frequenti contatti con la diplomazia americana.

Obama in queste ore ha ridimensionato il tono distensivo usato nella lettera a Rohani che attribuisce un «ruolo decisivo» all'Iran sulla questione siriana: «Credo che gli iraniani comprendano che la questione nucleare è un problema ben più importante per noi che quello delle armi chimiche siriane». Come a dire: ci scriviamo ma resta l'opzione militare per impedire che Teheran abbia l'atomica nei suoi arsenali o la possibilità di costruirla. Eppure questa apertura potrebbe cambiare la direzione degli eventi: se avvenisse davvero sarebbe forse il più importante lascito strategico della politica di Obama in Medio Oriente.

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