Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 20 settembre 2013 alle ore 06:46.

My24
Hassan Rohani (Ap/LaPresse)Hassan Rohani (Ap/LaPresse)

È tempo di scambi di lettere e di aperture quasi quotidiane tra la leadership americana di Barack Obama e quella iraniana del presidente Hassan Rohani, lo "sceicco diplomatico". «Non svilupperemo mai armi nucleari, non vogliamo la guerra con nessuno ma pace e amicizia tra i Paesi di tutta l'area», ha detto Rohani alla tv Nbc nel rispondere a una domanda su Israele, aggiungendo che i cittadini iraniani devono essere liberi di parlare e di avere accesso alla rete Internet. Eternamente dibattuto tra maschera e volto, l'Iran di Rohani - alla vigilia della partenza per l'Assemblea generale Onu di New York e forse di una svolta epocale nei rapporti con l'Occidente - sceglie l'immagine diversa di un nuovo corso, moderato e pragmatico.

È questo l'effetto geopolitico più rilevante della crisi siriana che come era prevedibile ha superato di gran lunga con le sue conseguenze i sanguinosi confini del Levante arabo: al centro del palcoscenico, oltre ai rapporti tra Usa e Russia, c'è il futuro delle relazioni con la repubblica islamica degli ayatollah, che è tra l'altro uno dei pochi Stati non falliti o semi-falliti della regione. Da un intervento militare americano quasi scontato contro Bashar Assad si è passati a un dialogo a distanza con l'Iran che impensierisce Israele e mette in agitazione la Mezzaluna sunnita, dal Golfo alla Turchia.

La diplomazia tra Teheran e Washington non è più soltanto segreta, fatta di approcci riservati, sussurri e indiscrezioni, ma è diventata pubblica. Questa è la novità del momento. L'altra potrebbe essere, se il dialogo andrà avanti, la rimozione di un equivoco culturale e politico che pesa da decenni come un macigno sui rapporti bilaterali: a 34 anni dalla rivoluzione che fece fuori lo Shah, gli sciiti sono ritenuti dall'altra parte dell'Atlantico i musulmani più intransigenti mentre le vicende mediorientali hanno dimostrato spesso il contrario.

Tutto comincia con una data: il 4 novembre 1979 quando il sequestro dei 52 ostaggi americani nell'ambasciata Usa a Teheran (rilasciati nel gennaio 1981) sancì la rottura delle relazioni diplomatiche tra l'Iran dell'imam Khomeini e Washington. Da quel momento l'America ha sempre visto nella repubblica islamica un nemico irriducibile che minacciava Israele e le monarchie petrolifere sunnite del Golfo.

Obama e Rohani, che ha rivendicato di avere piena autorità sul dossier nucleare, possono cambiare questa storia. Si sono consultati sulla Siria, dove l'Iran rappresenta con gli Hezbollah libanesi il principale sostegno militare del regime di Assad, ma è chiaro che in primo piano c'è il programma iraniano per l'arricchimento dell'uranio, sospettato di avere finalità militari.

In questi tre decenni di guerra fredda Teheran e Washington hanno provato a fare diplomazia segreta, a volte con risultati disastrosi (l'affare Iran-Contras), in altre occasioni con esiti ambigui, come durante l'invasione Usa dell'Afghanistan nel 2001, con l'elezione del presidente Hamid Karzai, caldeggiata da Teheran, e l'occupazione dell'Iraq nel 2003, quando i due ambasciatori, americano e iraniano, si incontrarono per la prima volta a Baghdad.

Nell'ufficio di Hashemi Rafsanjani, ex presidente, uno dei fondatori della repubblica islamica e fautore di referendum popolare sulla ripresa dei rapporti con gli Usa, un giorno ci venne persino mostrata una Bibbia con una firma di Ronald Reagan (difficile dire se fosse autografa). Ma la questione di fondo è rimasta: non ci può essere stabilità in Medio Oriente fino a quando la superpotenza americana e quella regionale del Golfo non si metteranno d'accordo.

Certamente a Teheran qualche cosa è cambiato: Rohani ha nominato un governo dove sono almeno un paio i ministri che hanno studiato negli Usa e conoscono bene l'America (uno ha persino la green card e la residenza a New York). I riformisti, che fanno parte dello staff di Rohani insieme ai conservatori moderati, hanno rialzato la testa e non è escluso che oltre alla scarcerazione dell'attivista Nasrin Sotoudeh sia imminente anche la liberazione di Mehdi Karroubi e Mur Hussein Moussavi, i leader dell'Onda Verde repressa nel 2009 con la vittoria di Ahmadinejad.

Ma sono soprattutto la crisi economica e le sanzioni che stanno mettendo alle corde l'Iran. I piani per raddrizzare l'economia e creare posti di lavoro per i giovani sono stati la carta vincente di Rohani alle ultime elezioni: per questo oggi anche gli ultraconservatori, la Guida Suprema e le Guardie della Rivoluzione, attenti a non perdere il consenso delle masse, sembrano più inclini ad accettare compromessi con il Grande Satana.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Shopping24

Dai nostri archivi