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Questo articolo è stato pubblicato il 21 settembre 2013 alle ore 08:22.

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Lavorano nel commercio, nei ristoranti, negli alberghi, nelle case private. Hanno stipendi bassi, meno di mille euro al mese e spesso non raggiungono neppure i 500. In Germania i titolari di «mini-job» sono un esercito: più di otto milioni di persone, il 25 per cento dei dipendenti.


BERLINO. Dal nostro inviato

L'altra faccia di un mercato del lavoro che ha raggiunto la quasi piena occupazione grazie alle riforme sulla flessibilità varate all'inizio del nuovo millennio. Ma che tra qualche decennio potrebbe presentare un conto salato al Paese.
Ne è convinto Karl Brenke, analista a Diw, l'Istituto tedesco di ricerche economiche con sede a Berlino. Eppure in questa campagna elettorale dai toni abbastanza bassi, il tema è appena accennato. «Uno dei problemi meno affrontati del nostro sistema - spiega - è costituito dall'espandersi degli impieghi pagati poco, meno di 9,5 euro all'ora. Stiamo parlando di un quarto del lavoro dipendente».
Vi rientrano i part-time e non solo. La maggior parte sono cosiddetti mini-job, termine che in Germania identifica rapporti di lavoro pagati non più di 450 euro al mese e che godono di un privilegio: sono esenti da tasse e contributi previdenziali da parte del dipendente, mentre il datore li versa in misura assai ridotta. Un vantaggio che attira sempre più persone, mamme in primo luogo.
«Due terzi dei mini-job sono svolti da donne», dice Brenke, che elenca le ragioni del boom: «Accanto alle esigenze di una parte del mondo del lavoro femminile che deve conciliare la maternità con l'impiego, c'è l'evoluzione del settore dei servizi, in particolare del commercio. Ma l'aumento di questi rapporti è stato determinato soprattutto dalla scelta politica di renderli privilegiati da un punto di vista fiscale e contributivo».
Il fenomeno è più diffuso nella Germania dell'Ovest, minoritario nei Länder dell'Est. A dicembre del 2012 l'ufficio federale del lavoro contava 7,5 milioni di lavoratori "mini" rispetto ai 5,9 del 2003 di cui 6,5 nei Länder occidentali, 940mila in quelli orientali. La Baviera, il Baden Württemberg, il Nordreno Westfalia sono le roccaforti del sistema esentasse. A Est, è una delle spiegazioni, le donne hanno spesso bisogno di lavori più pagati e non possono permettersi il mini-job.
È un contratto atipico preferito nelle zone a bassa densità abitativa, nelle aree rurali, meno diffuso nelle grandi città. Aumenta inoltre la quota di quanti hanno un secondo lavoro "mini". Alla fine dell'anno scorso erano 2,6 milioni più che raddoppiati dal milione del 2003.
Il conto per il sistema assistenziale sarà alto. «Non avendo maturato sufficienti contributi, tutti questi lavoratori o una gran parte di essi non avranno una pensione adeguata e saranno costretti a ricorrere al welfare per poter vivere», conclude l'economista. E avverte: non si tratta dell'unica distorsione che affligge il mercato del lavoro tedesco.
L'altra è costituita dall'andamento dei salari rimasti quasi fermi troppo a lungo, secondo Brenke. E mostra un andamento rimasto pressochè invariato dalla fine degli anni Novanta a oggi, con variazioni solo lievi, nonostante gli anni di crescita sostenuta che hanno preceduto la grande recessione.
Questa dinamica di salari bassi, che hanno peraltro permesso alla Germania di aumentare l'occupazione o di non perderne troppa durante le fasi più acute della crisi, comprime la domanda interna ed è tra le cause - secondo l'analista - di uno squilibrio fin troppo evidente che vede da tempo il Paese crescere grazie soprattutto al suo export. Uno dei rimproveri più di frequente mossi alla Germania dai partner europei.
«I partiti però non si occupano di questo problema», conclude Brenke. E la Spd, pur volendo introdurre il salario minimo di 8,5 euro all'ora, limita la proposta a quei lavori sottopagati perché non hanno rappresentanze sindacali forti. Il mondo dei mini-job, con il suo vantaggio fiscale, ne sarebbe escluso. Secondo i critici del sistema è un errore che potrebbe costare molto caro alla Germania.
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